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Emmanuel Macron è molto disperato e quindi più pericoloso

Daniele Capezzone
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Risposta facile (e inquietante) a una domanda su un tema delicatissimo: quando è che un uomo politico diventa pericoloso per se stesso e per gli altri? Lo diventa quando è disperato, quando sente di non avere una prospettiva, quando ha smarrito la bussola: e dunque - di conseguenza - quando è in cerca di un’avventura, di un gol in rovesciata, di un’impresa miracolosa che lo renda di nuovo magicamente popolare, di una “droga” potente che lo scuota - metaforicamente - dalla situazione di “down” in cui è precipitato.

È questa - senza girarci troppo intorno - la condizione politica in cui si trova Emmanuel Macron. Livelli massimi di impopolarità in patria; mezza Francia in fiamme; immigrazione e estremisti islamici fuori controllo; economia debolissima; sistema produttivo alle corde. Nel frattempo, tutta la retorica riformista che aveva accompagnato la sua ascesa politica è miseramente evaporata: peggio, il solo rievocarne il ricordo produce nei francesi rigetto e rabbia.

 

INSUCCESSI A CATENA

L’ultimo anno è stato addirittura devastante per lui, e - a causa sua per i suoi connazionali. Dopo il rovescio alla Europee, ha convocato elezioni politiche immediate al solo scopo di fermare la Le Pen e Bardella. E in qualche modo ci è riuscito: ma al prezzo di mettere insieme tutto e il contrario di tutto, vecchi redisuati comunisti e estremisti pro Pal. Risultato? Nessuna maggioranza parlamentare; un governo è già venuto giù; e un altro- quello attuale- è a sua volta fragile nei numeri e anemico nella consistenza politica.

E allora, davanti a questo campo di macerie fumanti, che cosa fa adesso Macron? Cerca di darsi una dimensione di leadership internazionale, di trasformarsi in “campione anti-Trump”. Ma è proprio qui che il politico disperato - come dicevo all’inizio - diventa pericoloso.

Prendete i suoi comportamenti delle ultime settimane: ha convocato vertici a Parigi ignorando e travolgendo le forme e gli organismi di quella stessa Ue di cui si proclama sostenitore; ha cercato la polemica con Trump (salvo omaggiarlo quando se lo è trovato davanti); ha cinicamente cercato di trasformare Zelensky (che ci stava cascando) in oggetto e strumento della divisione tra le due sponde dell’Atlantico.

E l’altra sera - in un pomposo messaggio tv- ha cercato di autonominarsi capo di un Occidente detrumpizzato, usando l’argomento del nucleare militare francese, promettendo «protezione agli alleati» (testuale), cioè già collocandosi da solo in una dimensione superiore rispetto agli altri.

Va tenuto presente che almeno fino a metà aprile la Germania non avrà un governo: e dunque Macron vuole approfittare di questa finestra temporale in cui Berlino è paralizzata. E - dall’altro lato - va considerata la vera e propria ossessione politica anti-Meloni che anima Macron, facendo letteralmente impazzire di rabbia e di paura l’inquilino dell’Eliseo.

Primo: Macron vede nel governo italiano la prefigurazione di una sua possibile sconfitta in Francia per mano della destra, che prima o poi avverrà. Secondo: Meloni si è rivelata una protagonista della scena internazionale, mentre lui ne prevedeva una facile marginalizzazione in quanto “fascista”, nel racconto mediatico che anche Parigi ha contribuito per mesi a orchestrare. Terzo: Macron soffre tremendamente l’iniziativa italiana in Africa, proprio mentre Parigi perde posizioni in quel continente. Quarto: il rispetto di cui la Meloni gode in ambito Nato (organizzazione che Macron osò definire «cerebralmente morta») potrebbe consentire all’Italia di giocare un ruolo chiave sia nel quadrante mediterraneo sia rispetto alla grande partita energetica globale.

Quinto: Meloni ha costruito un rapporto per lo meno cordiale e di simpatia con Trump, cosa che certo non si può dire sia accaduta per Macron. Anzi, l’ultima volta - sadicamente Trump ha perfino elogiato caldamente Meloni e l’Italia proprio mentre Macron sedeva accanto a lui, procurandogli dolori simili a quelli della finale mondiale del 2006.

 

ALLE SPALLE

Tutto questo fa del presidente francese un soggetto istintivamente e pervicacemente ostile verso Roma. Sorride, naturalmente; evoca il Trattato del Quirinale; ma, appena può, ogni sua mossa è concepita per restringere lo spazio di manovra di Roma.
Sarà bene tenere a mente una fulminante battuta di qualche anno fa su Twitter di Nile Gardiner, già consigliere di Margaret Thatcher: «Macron è un totale backstabber». Per la cronaca, le traduzioni possibili in italiano della parola backstabber sono (dalla più figurata alla più letterale): traditore, uno che fa o dice cose alle spalle, pugnalatore alla schiena. La sua natura politica è questa.
Poi- ahilui- ha perso il tocco magico. La scenetta tragicomica dell’altro giorno, con la portavoce del governo francese che ha annunciato una missione di Macron a Washington con Zelensky e il premier britannico Starmer, e con fonti dell’Eliseo che poco dopo sono state costrette a smentire tutto, danno la misura di questo stato confusionale. La verità è che Macron, avendo preso atto della ripresa di dialogo tra Trump e Zelensky, aveva cercato di infilarsi in scena per procurarsi una foto che “celebrasse” il suo ruolo di mediatore. Ma qualcuno (a Washington, a Londra, o in entrambi i luoghi) deve averlo fermato. Di qui, la patetica retromarcia.
Ecco: questo è l’uomo politico tuttora idolatrato dalla sinistra e dai giornali italiani. Sarà bene guardarsi dai suoi trucchi e dai suoi intrighi. E anzi utilizzarlo come utile bussola per orientarsi: se assume un’iniziativa, vale la pena di diffidarne. Per principio.

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