
Ucraina, il generale Li Gobbi: "Alla forza di pace servono le truppe. L'Europa non le ha"

Le confuse idee su un possibile spiegamento di militari europei in Ucraina a vigilare su una tregua sollevano perplessità, come ci ha spiegato il generale di corpo d’armata Antonio Li Gobbi. Di grande esperienza, ha partecipato a missioni Onu in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. $ stato direttore delle Operazioni allo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. E' attualmente Senior Mentor per «gestione delle crisi, mediazione e negoziazione» al NATO Defense College (massima istituzione accademica dell’Alleanza Atlantica).
Generale, come valuta l’idea di inviare truppe europee in Ucraina, emersa anche dal recente vertice di Londra?
«Mi pare ci sia gente che è andata nel panico e per paura di non contare niente parla di iniziative vaghe senza pensare alle conseguenze e solo per acquisire titoli e benemerenze di fronte agli Stati Uniti. Mi riferisco soprattutto a Starmer e Macron. Al momento non si sa nemmeno che tipo di accordo potrà esserci, né se la sospensione delle ostilità possa essere definita da un armistizio o da un cessate il fuoco, cose ben diverse, e si evocano truppe europee da inviare in Ucraina. Un possibile accordo potrebbe prevedere, per esempio, su richiesta russa, il divieto di schierare truppe straniere in Ucraina. Prima bisogna aver chiaro il quadro di un possibile accordo, solo una volta che questo sia noto si potrà ragionare sul tipo di missione militare da affidare. Definendone in primis i compiti e la catena di comando (sia politica che militare). Solo una volta che questi aspetti siano chiari avrà senso parlare di numeri».
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Ammesso che si arrivi a una missione internazionale, quali sono le opzioni?
«I due scenari principali possono prevedere una forza di interposizione o una forza di deterrenza. Una forza di interposizione, per definizione, deve essere al comando di un'istituzione riconosciuta imparziale da entrambe le parti e, nel caso specifico, può trattarsi solo dell’Onu. Anche i Paesi che fornirebbero i contingenti dovrebbero essere percepiti come non implicati nel conflitto. Quasi nessun Paese europeo potrebbe farne parte, forse solo Ungheria e Slovacchia, e fra altri Paesi NATO, la Turchia. L’altra soluzione, una forza di deterrenza che scoraggi Mosca dal riprendere il conflitto, lascia perplessi se posta nei termini vaghi ipotizzati a Parigi e Londra».
C’è chi ipotizza “coalizioni dei volenterosi”, come quelle messe in piedi dagli Stati Uniti per le missioni in Afghanistan e Iraq.
«Però in quei casi comandavano gli Stati Uniti, i vari contingenti alleati ricevevano le direttive dall’ufficiale di collegamento americano al quartier generale di Tampa, in Florida. In una coalizione europea a guida anglo-francese chi comanda? Londra e Parigi? Sono soluzioni a mio avviso pasticciate che possono funzionare solo se non succede niente. Ma allora non servono neanche. Meglio starne fuori».
Che alternative ci sarebbero, allora?
«L’unica soluzione di comando credibile, dato che non si può ricorrere alla Nato, sarebbe l’Unione Europea (ovviamente costituendo un comando operativo che possa gestire l’intervento) dove almeno le procedure decisionali a livello strategico sono già rodate. Però, poi cosa si intenderebbe fare con queste forze? Se l’obiettivo fosse di fornire una garanzia di intervento nel caso la Russia violasse gli accordi di pace, schierare personale in Ucraina potrebbe non risultare la situazione più efficace».
Dunque si rischierebbe uno sforzo militare inutile e pericoloso?
«La vera protezione dovrebbe essere incentrata su una deterrenza credibile. Venuti meno gli Usa e la loro capacità di far fronte ad eventuali escalation del conflitto gran parte della deterrenza è sparita. La deterrenza che gli europei in caso di nuovo attacco russo potrebbero fornire sarebbe la capacità di intervenire massicciamente con supporto aereo e supporto di fuoco a favore di Kiev. Non necessariamente questi assetti dovrebbero essere preposizionali in Ucraina. Tra l’altro, non conosciamo neanche a grandi linee gli accordi che verranno stabiliti tra Usa e Russia e non è detto che questi consentano presenza di assetti militari di Paesi Nato in Ucraina. Inoltre, pre-posizionare in Ucraina 20-40 mila soldati europei servirebbe a poco. Certo non sarebbero di per sé risolutivi per bloccare i russi. L’unico risultato che conseguirebbero sarebbe che le inevitabili perdite di soldati di diversi Paesi europei caduti al fianco degli ucraini potrebbero far percepire in tutti i Paesi partecipanti quella guerra come “la loro guerra”. Potrebbe essere un segnale molto forte, ma siamo sicuri che i politici che ne parlano pensino a questo? Non credo, o almeno mi auguro che così non sia! Inoltre, ricordiamo che in caso di reazione ad un attacco russo all’Ucraina, i Paesi che inviano truppe in Ucraina sarebbero esposti a prevedibili attacchi russi sui loro territori (e questa volta non si tratterebbe solo di attacchi informatici)».
Insomma, Londra e Parigi sembrano “giocare alla guerra” senza rendersi conto dei rischi reali?
«Sembrerebbe che Francia e Gran Bretagna non abbiano ancora accettato di aver perso dopo il secondo conflitto mondiale il loro status di potenze imperiali. Infatti, le iniziative militari franco- britanniche dopo di allora ( dalla crisi di Suez del 1956 al discutibile intervento militare in Libia del 2011) non mi pare siano mai stati dei successi e soprattutto hanno denotato che in fase di pianificazione tali nazioni avevano sopravvalutato le proprie potenzialità militari».
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Ci sono speranze per una difesa europea in grado di fare a meno degli Usa?
«Intanto evitiamo di parlare di un “esercito europeo” che richiederebbe una profonda modifica costituzionale della Ue. I Paesi europei devono rapidamente dotarsi degli strumenti militari per garantire, in autonomia dagli Usa, sia la difesa a Est (dal Mar Glaciale Artico al Mar Nero) che la sicurezza Sud verso il Mediterraneo, il Medio Oriente e il Nord Africa. Però, bisogna a dotare l’Ue di una struttura di comando militare permanente analoga a quella della Nato, che possa essere impiegata in autonomia per operazioni dell’Unione europea e che, in caso di interventi Nato sia integrabile in quella Nato».
Quanto sarebbe preparata l’Europa a uno scenario simile?
«Chiaramente ciò richiede una chiara visione comunitaria delle sue esigenze di difesa e sicurezza e l’adozione di procedure finanziarie che garantiscano un’equa ripartizione degli oneri finanziari tra i Paesi membri e, possibilmente, l’acquisizione di una comune pur minima capacità di deterrenza nucleare. Deterrenza di cui l’Ue, in quanto tale, non dispone. E che difficilmente Parigi renderebbe disponibile alla Ue. Sarebbe costoso, richiederebbe leadership politiche con una visione che vada al di là dell’orizzonte delle prossime elezioni o ai sondaggi (cosa rara)».
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