
Donald Trump, ecco quali obiettivi si nascondono dietro la strategia dei dazi

Nel progetto di Donald Trump per rendere l’America il bengodi del tempo che fu, i dazi sono una delle colonne portanti. E quindi – per quanto il principe Bismarck dicesse che «non si esagera mai tanto quanto dopo le battute di caccia e durante le campagne elettorali» – si tratta di sapere quando arriveranno e quanto peseranno. Il presidente sbroglierà la matassa dazi (che non sono più la parola più bella del dizionario, ma la quarta, dopo Dio, famiglia e amore, ha detto Trump, perché sennò i media s’agitavano) probabilmente domani, per noi, alle 2 di notte di mercoledì, durante la sessione congiunta del Congresso: aula della Camera piena, il presidente annunciato dal sergente d’armi, il presidente della Camera e il vicepresidente alle sue spalle. Stando a quanto dichiarato dal segretario al commercio Howard Lutnick a Fox News, il presidente imporrà tariffe al Messico e al Canada allo scoccare della mezzanotte, ma sta ancora decidendone la portata: forse non saranno del 25%, «la situazione è fluida». I due Stati hanno «fatto molto» per affrontare le preoccupazioni statunitensi ai valichi di frontiera, ma non abbastanza per affrontare i «morti da fentanyl».
Già il 4 febbraio scorso, il Messico riuscì a sospendere le imposte per un mese grazie all’invio di 10mila soldati della guardia nazionale al confine e altre centinaia nello stato di Sinaloa, epicentro del conflitto narcos, con conseguenti raid nei laboratori, sequestri e arresti (29 narcotrafficanti sono stati estradati negli Usa). Il Canada si affrettò a nominare un “commissario del fentanyl”. Nelle ultime settimane, delegazioni di Città del Messico e di Ottawa si sono succedute a Washington per parlare con Trump e con Lutnick. Vedremo che cosa avranno ottenuto. Il Messico, tra immigrazione e lotta al narcotraffico, ha ancora molto da concedere prima che Trump possa dichiararsi vincitore (l’anno scorso, gli agenti della US Customs and Border Protection hanno intercettato circa 19 chilogrammi di fentanyl al confine canadese, rispetto ai 9.600 al confine con il Messico), ed è quindi plausibile che si aggiudichi un’altra tregua dell’ultimo minuto o dazi minori del previsto. Facile invece che scattino tariffe sia sulle auto cinesi importate dal Messico, per evitare che Pechino aggiri i dazi americani, sia quelle al Canada, che aveva ben poco da concedere fin dall’inizio (a meno che Trudeau non prenda sul serio l’idea di concedere un pezzo di territorio così da aggiungere una nuova stella sulla bandiera americana).
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Verso Pechino invece è prevista un’addizionale del 10%, che va ad aggiungersi al 10% imposto il mese scorso e ai dazi su oltre 400 miliardi di dollari di prodotti del primo mandato Trump. La Cina ha dichiarato di aver rafforzato i controlli sui precursori chimici e sulle sostanze simili al fentanyl. Per il resto, ha promesso contromisure: secondo il quotidiano cinese Global Times, le nuove ritorsioni riguarderebbero i prodotti agricoli statunitensi. Già a febbraio Pechino aveva adottato tariffe aggiuntive su gas naturale liquefatto, carbone, macchinari agricoli, e restrizioni all’esportazione di alcuni minerali critici. Una risposta in ogni caso moderata, di chi sta ancora annusando l’aria e preferirebbe trovare un accordo, viste le difficoltà in cui versa l’economia cinese, ma allo stesso tempo non vuole mostrare l’urgenza dei questuanti. «Se pensano di vendicarsi – ha messo le mani avanti Lutnick – si ricordino che loro ci vendono molto di più di quanto noi vendiamo loro». L’Europa aspetta il 12 marzo, quando dovrebbero scattare i dazi al 25% su acciaio e alluminio.
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