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Meloni, pontiere tra Trump e l'Unione europea: ecco la "diplomazia di Giorgia"
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Al termine della giornata londinese, chi ne ha parlato con Giorgia Meloni racconta che è andata meglio del previsto. Il vertice è stato «molto più concreto rispetto a quello di Parigi», finito con un nulla di fatto. Altri leader europei ieri sono usciti allo scoperto, riconoscendo ciò che era ovvio: qualunque cosa si pensi di Donald Trump e del modo in cui ha discusso con Volodymyr Zelensky nello Studio ovale, né l’Europa né l’Ucraina possono fare a meno lui. A Londra, insomma, si è registrata una salutare presa d’atto della situazione e della necessità di coinvolgere gli Stati Uniti (e il loro esercito) nell’assetto che dovrà garantire la pace. Restano divisioni, ovviamente. Il presidente francese Emmanuel Macron insiste sull’ipotesi di una soluzione militare europea, che Meloni boccia per l’ennesima volta: «Continuo a essere perplessa sull’utilizzo di truppe europee», e in ogni caso «la presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno».
Sono le 11.20 a Londra – mezzogiorno eventi in Italia – quando la premier, vestita di bianco, arriva al numero 10 di Downing Street. È il primo dei leader euroatlantici a presentarsi. Il vertice con gli altri si terrà alle 14 a Lancaster House, il luogo dei grandi eventi, ma prima lei ha in programma un incontro con Keir Starmer.
Sono i due leader che vantano una “special relationship” con Trump: l’italiana per affinità politica, l’inglese per ragioni storiche. La relazione è molto buona anche tra loro due: Starmer, pur lavorando con Macron per un piano franco-britannico, al termine del summit riconosce che tra lui e Meloni c’è «un’enorme quantità di punti in comune» e che è «indispensabile» coinvolgere gli Stati Uniti.
È la linea italiana da prima che lo scontro nella Casa Bianca andasse in mondovisione. È la direzione in cui Meloni ha spinto sabato sera, al telefono con Trump. Ed è il motivo per cui occorre un vertice immediato tra Stati europei, Stati Uniti e alleati. Sono in molti a pensarla come lei. Il premier polacco, Donald Tusk, lo dice prima di salire sull’aereo per Londra: quel vertice «sembra davvero molto necessario ed è positivo che sia stato proposto da Meloni al presidente Trump, per via dei loro ottimi rapporti».
Il colloquio tra Meloni e Starmer dura un’ora. Parlano anche di difesa comune, del nuovo caccia stealth da costruire insieme al Giappone e d’immigrazione, ma il tema cruciale è l’Ucraina. Meloni dice al padrone di casa che per raggiungere la «pace giusta e duratura» che tutti cercano è «molto, molto importante che noi evitiamo il rischio che l’Occidente si divida. Regno Unito e Italia possono svolgere un ruolo importante nella costruzione di ponti». Prima che inizi il summit con gli altri leader, la presidente del consiglio ha un incontro con Zelensky, al quale conferma l’appoggio italiano. Dirà poi di averlo trovato «dispiaciuto, come credo tutti noi e tutti protagonisti», per lo scontro alla Casa Bianca, ma anche «molto lucido, razionale, una persona che vuole cercare soluzioni». Zelensky la ringrazia, per l’aiuto dato sinora e per l’«incontro proficuo».
Lo spazio per un accordo di pace che tenga dentro gli Stati Uniti, secondo la premier c’è. Lo spiega a sera, parlando davanti alla residenza dell’ambasciatore italiano a Londra: «È anche nell’interesse degli Usa essere certi che, nel momento in cui si arriva alla pace, non si torna indietro. E su questo si possono costruire proposte e soluzioni». Questa, insiste, è la fase in cui serve freddezza: «Non credo sia utile lasciarsi andare alle tifoserie».
Nulla cambia, comunque, nei confronti dell’ipotesi di inviare un contingente europeo in Ucraina. «Ho ringraziato Francia e Regno Unito per il loro impegno a cercare una soluzione», racconta la presidente del consiglio, «ma ho espresso le mie perplessità». Sarebbe «un errore togliere dal tavolo il dibattito sulla cornice atlantica, che si può proporre in varie maniere».
Non necessariamente facendo entrare l’Ucraina nella Nato, spiega, ma pensando «in modo creativo» partendo dall’articolo 5 del trattato dell’Alleanza, quello che garantisce l’assistenza tra gli Stati membri nel caso in cui uno di essi sia aggredito. Assicurazioni simili, si ragiona a palazzo Chigi, potrebbero essere date a Kiev anche senza ingresso nella Nato.
Per le stesse ragioni, Meloni respinge l’ipotesi di creare un “ombrello nucleare” europeo, avanzata da Macron e non esclusa dal futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Significherebbe appaltare la deterrenza nucleare a Francia e Regno Unito, gli unici Stati dotati di testate atomiche proprie. «È un tema che mi pare prenda in considerazione un disimpegno degli Stati Uniti. Sono tutti scenari che non auspico», commenta la premier, «e parlare di queste cose, favorendo uno scenario che non si auspica, non è cosa intelligentissima».
L’obiettivo del governo italiano, insomma, è «mantenere l’Occidente unito e rafforzarlo», senza prendere in considerazione altre ipotesi. Vale anche per i dazi minacciati da Trump. Meloni non si nasconde: «Siamo molto preoccupati, siamo una nazione esportatrice e ci rendiamo conto che sarebbe un problema». Ma un’escalation di ritorsioni commerciali, avverte, «ci indebolirebbe tutti». Trump è «un dealer, uno che ragiona di accordi», e allora tocca sedersi al tavolo e trattare con lui. Lei stessa è pronta a farlo: «Penso che a un certo punto andrò alla Casa Bianca, anche se un incontro attualmente non è calendarizzato».
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