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Donald Trump? Con la sua ascesa ora sono tutti novelli sovranisti
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La storia ama stupire. Le parti in campo possono cambiare rapidamente ruolo o posizione. Oppure, più semplicemente, sono le maschere indossate che a un certo punto cadono, dimostrando a tutti quel che ognuno effettivamente era anche se non lo dava a parere. Gli antichi Greci parlavano di “agnizione”, avendo presente il finale di una tragedia, quando lo spettatore può finalmente conoscere la vera identità dei protagonisti.
Qualcosa del genere sembra avvenire in questi giorni in Europa con il convulso attivismo di alcuni leader in risposta alle dichiarazioni e ai propositi di Donald Trump. Chi più di loro può essere definito ora sovranista, teso a difendere gli interessi nazionali a dispetto degli alleati e della stessa Unione europea? Chi più di loro sta agendo in barba ad ogni procedura statuita, fregandosene di quei meccanismi di cui si fingevano fino a ieri gelosi custodi e infaticabili cantori? Non erano loro a contestare chiunque osasse metterli in discussione, ad esempio insistendo sulla loro scarsa democraticità?
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Che si trattasse di una sovrastruttura a molti era evidente: il dogma europeistico serviva soprattutto agli Stati più forti, in primis Germania e Francia, per affermare il proprio potere sui più deboli. La retorica unionista e antinazionalista era una foglia di fico per coprire i veri interessi in gioco e i rapporti di forza fra gli Stati. Ora, in pochi giorni, tutta quell’impalcatura cade sotto i nostri occhi, si sgretola come nulla fosse. Relegata in un angolo Ursula von der Layen, i protagonisti del neosovranismo europeo sono soprattutto Emmanuel Macron e Keir Starmer, stretti in una sorta di “santa alleanza” che tratta e agisce per conto proprio, nel migliore dei casi, o pretende di parlare anche per conto terzi, nel peggiore.
Ha cominciato lunedì il presidente francese in visita a Trump, ieri è stata la volta del premier inglese: pur non essendo stati delegati da nessuno hanno preso impegni per la presenza di truppe europee in Ucraina dopo il raggiungimento dell’auspicata pace. Non è ben chiaro se alla combriccola si aggregherà presto anche la Germania, in procinto di varare un’ennesima e fallimentare Grosse Koalition con a capo il neoeletto Friedrich Merz. Macron e Starmer sembrano non porsi proprio più quei problemi di forma su cui un tempo non transigevano, pronti a bollare come “sovranista” chiunque non si adeguasse. D’altronde, come potrebbero parlare a nome dell’Unione Europea se i cittadini inglesi democraticamente decisero qualche anno fa di non volere avere più nulla a che fare con Bruxelles?
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Che l’Italia fosse stata sempre tenuta al margine dei centri decisionali, destinata ad accodarsi senza fare troppe storie, lo si intuiva. Che ora non ci si faccia tanti scrupoli a tener fuori il nostro Paese, che pure sarebbe un socio fondatore del club, certi leader non lo mascherano nemmeno più. Né le istituzioni di Bruxelles sembrano avere verso di loro la volontà o la forza di ammonirli, fosse anche solo a parole. Vi ricordate quando, poco più di un mese fa, Giorgia Meloni andò a Washington, unica leader di un Paese europeo, per l’insediamento di Trump? La vicepresidente della Commissione europea, la socialista Teresa Ribera, tenne a precisare stizzita che il nostro presidente del consiglio era lì a titolo personale. Avete sentito in questi giorni qualcuno della Commissione che abbia avuto il coraggio di dire “non in nostre nome” a Macron e Starmer?
Ulteriore paradosso della vicenda è che si tratta di due leader in questo momento molto deboli, contestati da buona parte delle stesse opinioni pubbliche dei loro Paesi. Il loro sussulto nazionalistico, anzi imperiale, sembra del tutto ingiustificato. Il vero vincitore della partita sarà, ovviamente, Trump, che non solo avrà facile gioco a imporre la sua linea. Ma sarà anche riuscito a disarticolare l’Europa, almeno quella delle ipocrisie e della retorica a buon mercato.
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