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Trump-Zelensky, la telefonata per avere prove contro il figlio di Biden è l'origine dell'odio?
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L'ipotesi è suggestiva, e non è detto che il fattaccio non abbia pesato sulla reazione di un umorale come Donald Trump. Secondo gli analisti più maliziosi, dietro al clamoroso attacco in mondovisione a Volodymyr Zelensky, simbolicamente preso a ceffoni nello Studio Ovale in diretta tv, davanti a staff diplomatici, giornalisti e telecamere, ci sarebbe una "ruggine antica". Il Corriere della Sera fa riferimento a "una telefonata tra i due del 25 luglio 2019, durante il primo mandato del leader repubblicano".
Le vicende, in realtà, sono note perché al tempo, mancava un anno alle elezioni presidenziali americane, diventarono tema di campagna elettorale. L'arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, i fatti di Capitol Hill, l'invasione russa e l'appoggio incondizionato dell'amministrazione democratica a Kiev hanno poi fatto passare tutto in secondo piano. Ma oggi sembra giunto il momento di rimettere tutte le carte sul tavolo, per usare l'espressione usata dallo stesso Trump con il presidente ucraino ("Non hai le carte in mano", gli ha ricordato, ricevendo come risposta un piccato "non sono venuto qui per giocare a carte"). Un vero e prorio showdown, insomma.
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Nell'estate di 6 anni fa, Trump cavalcava lo scandalo di Hunter Biden, il figlio di Joe autentica spina nel fianco del candidato democratico a causa delle sue condotte di vita sregolate. Nel 2014, quando Biden Senior era vice di Barack Obama, Hunter era entrato nel consiglio d’amministrazione di Burisma, la maggiore impresa ucraina del gas. Scelta singolare, visto che il figlio del vicepresidente nulla sapeva di gas. Una nomina molto "politica" per cui, non a caso, il presidente della società ucraina venne indagato per corruzione.
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In America, Rudy Giuliani e l'allora procuratore generale Bill Barr indagarano per trovare prove di corruzione, e il sospetto di un coinvolgimento di Joe nelle vicende del figlio fu argomento di lotta politica. "Visto che loro non approdavano a nulla - scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera -, Trump decise di intervenire in prima persona con la telefonata nella quale chiese al presidente ucraino di trovare prove contro Hunter e anche contro Joe Biden e di aiutare Giuliani e Barr nelle loro ricerche". Zelensky cercò di evitare lo scontro aperto con Trump, considerata la trattativa in corso per un sostanzioso finanziamento di Washington a Kiev.
Dopo l'estate, un agente della Cia denuncia Trump per quella telefonata, accusandolo di aver usato i suoi poteri di presidente per "interferire con il processo elettorale americano", parlando letteralmente di un "ricatto" a Zelensky. Da quella denuncia, nasce l'indagine per impeachment contro Trump promossa alla Camera dai democratici (che erano in maggioranza). La richiesta verrà poi stoppata dai repubblicani al Senato, ma la "bomba ucraina" è già scoppiata anche se non fermerà la candidatura formale di Biden alla Casa Bianca, arrivata nella primavera del 2020.
Il gelo tra Trump e Zelensky prosegue negli anni, lontano anni luce dal rapporto addirittura affettuoso che intercorre tra Volodymyr e il vecchio Joe. Memorabile una battuta fulminante sul presidente ucraino, definito con sprezzo da Donald "il più grande venditore della storia: ogni volta che viene qui, se ne va con 60 miliardi di dollari". Niente, alla luce di quello di cui l'ha accusato venerdì pomeriggio.
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