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Hamas non rispetta nemmeno i bimbi morti
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Anche l’orrore, pure l’abominio, perfino un atto bestiale come quello a cui abbiamo assistito ieri può – per atroce paradosso – rivelarsi utile a qualcosa. Per esempio, a ricordarci la differenza tra “noi” e “loro”. “Loro” sono le belve di Hamas, capaci di organizzare un macabro spettacolino, un lugubre show, usando come oggetti perfino dei poveri corpi ormai freddi, delle salme indifese e incolpevoli. Anche per questi resti inanimati i terroristi hanno immaginato un rituale di degradazione, esattamente come avevano fatto nelle settimane scorse per gli ostaggi restituiti da vivi: l’esposizione delle bare, frasi di propaganda, foto, più munizioni per alludere a presunte responsabilità di Israele. Con rispetto parlando, fa ridere e piangere che un rappresentante dell’Onu (cioè dell’organizzazione che non ha visto nulla per anni, che ha coccolato l’Unrwa, che non si è accorta di ciò che i terroristi organizzavano a Gaza), ieri, si sia improvvisamente ricordato dell’esistenza di convenzioni internazionali e di norme che avrebbero dovuto impedire trattamenti inumani e degradanti per la riconsegna degli ostaggi (vivi o morti).
Ma – ecco il punto – Hamas non sta semplicemente violando una manciata di norme del diritto internazionale: sta consapevolmente violentando qualsiasi cosa assomigli a princìpi di umanità e di umanesimo. Da quando esiste la civiltà umana, anche nelle sue forme più primitive, non è mai mancato il culto dei morti, un rispetto speciale e una pietà assoluta verso i defunti. Ma Hamas sfonda anche quest’ultima porta, travolge tutto: i morti, la maternità (uno dei quattro corpi era quello di una madre), l’infanzia (i due bimbi di quella mamma). Se possibile, ancora più significativo è il fatto che il medesimo oltraggio sia stato riservato pure al quarto cadavere, quello di un anziano giornalista notoriamente pacifista e filo-palestinese. Per chi non l’avesse ancora capito, per chi (tonto o crudele, spontaneo o spintaneo) tuttora continua a solidarizzare con le belve, Hamas ritiene che la vita umana non abbia mai alcun valore: né la vita degli ebrei (da massacrare, ovviamente) né quella degli stessi palestinesi (il cui sangue va versato e usato come carburante per far correre altro odio), né quella dei nemici né quella degli amici. Anziani, donne, bambini: non c’è limite, non c’è freno inibitorio, non c’è tabù. Il feroce nichilismo di chi ama solo la morte e il dolore da infliggere non si ferma davanti a niente. Colpisce il silenzio, l’imbarazzo, l’afasia di troppi, anche dalle nostre parti. Tanti che erano stati loquacissimi contro Netanyahu e Gerusalemme ieri sono rimasti afoni: non una parola, non una sillaba, non un tweet. Pochissimi a sinistra, invece, si sono risvegliati proprio nelle ultime ventiquattr’ore e hanno balbettato una qualche condanna di Hamas: venendo tuttavia aggrediti dai loro stessi followers, nutriti da almeno 500 giorni a base di odio contro Netanyahu.
E non occorre particolare preveggenza per immaginare le prossime sequenze del film. È prevedibile che, quando sarà stato completato il recupero degli ultimi ostaggi, il premier israeliano e Donald Trump potranno decidere di regolare definitivamente i conti con Hamas: la scena di ieri “chiama” inevitabilmente una sorta di vendetta biblica. Ecco: è fin troppo facile scommettere che, in quel momento, i “muti” di ieri torneranno a parlare, e i timidi si riscopriranno spavaldi: contro Gerusalemme e contro Washington, come sempre. E qui – allora – si arriva all’altro termine della questione: non “loro” ma “noi”. Se è maledettamente chiaro chi siano “loro”, cioè i terroristi islamici, non è invece affatto scontato chi possa o voglia essere ricompreso nel “noi”. Come Libero non cessa di scrivere da sempre, difendere Israele significa riaffermare le ragioni stesse dell’Occidente e della libertà contro la barbarie islamista. Ma sono in tanti nel mondo – in primo luogo a sinistra, e forse non solo – a mancare all’appello in questa battaglia di civiltà.
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Un santuario alpino sospeso nel tempo e nello spazio
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