Cerca
Cerca
+

Grover Norquist, l'ex consigliere di Reagan: "Il vantaggio di Meloni sul resto della Ue"

Maurizio Stefanini
  • a
  • a
  • a

Grover Norquist aveva 12 anni ed era un fan di Janis Joplin quando ebbe l’idea di un giuramento per impegnare i candidati alle elezioni Usa contro le tasse e si mise a fare campagna elettorale per Nixon. La fece anche nel 1972, ma racconta che un responsabile dello staff lo prese di petto perché aveva i capelli troppo lunghi. Quel sogno di un Taxpayer Protection Pledge fu effettivamente realizzato nel 1986, a opera di quell’advocacy groupAmericans for Tax Reform che era stato fondato l’anno prima, e di cui lui è ancora il presidente. Presidente fondatore per la precisione, anche se come lui racconta «in realtà l’idea era stata di Ronald Reagan. Mi chiese lui di gestirla, per far passare quel Tax Reform Act che nel 1986 stabilì un sistema abbastanza buono su due sole aliquote: una massima del 28%; l’altra del 15». Il Taxpayer Protection Pledge, spiega, «fu stabilito apposta per proteggere questo riforma dai possibili tentativi dei democratici per smantellarla». Proprio in nome di questa battaglia è stato considerato un ideologo delle riforme fiscali di Trump, e per questo è stato invitato a un seminario a porte chiuse sull’agenda economica di Trump, organizzato dall’Istituto Affari Internazionali. Ma nei suoi tre giorni a Roma incontra anche esponenti del centro-destra e membri di think tank. Ci dice: «C’è molto interesse anche in Italia per i cambiamenti che sta introducendo la nuova Amministrazione e ho intenzione di spiegare quello che sta succedendo in America».

Lei però ha detto varie volte in passato di essere contrario ai dazi, perché anch’essi sono tasse.
«Trump ha usato la minaccia dei dazi con Panama, Colombia, Messico e Canada per cercare di influenzarne il comportamento su altri problemi.
L’immigrazione, perché Panama non permetta alla Cina di controllare entrambe le estremità del Canale di Panama, perché la Colombia si riprendesse criminali che erano venuti negli Stati Uniti. Ma ci sono altri dazi che in realtà intende introdurre sul serio, come fece nel 2017 e 2018, con acciaio e alluminio. In particolare, per lui la Cina vende al di sotto dei prezzi di mercato materiali strategici come acciaio e alluminio e vorrebbe spostare una parte maggiore della produzione negli Stati Uniti, in modo da importare meno».

Soluzioni?
«Penso che sarebbe meglio ridurre gli oneri normativi sui lavoratori americani dell’acciaio e sull’alluminio e il costo dell'energia. L’alluminio in particolare è particolarmente energivoro nel suo utilizzo. Vero che se altri Paesi sovvenzionano la produzione significa che ti danno qualcosa a un prezzo inferiore a quel che costa. Ma se hai tasse più basse e un minore onere normativo sull'acciaio, il metallo o l’alluminio, come può un altro Paese vendicarsi contro di te per questo?
Trump vede entrambe le cose come strategiche e crede che la Cina, attraverso altri Paesi e direttamente, stia inviando acciaio sovvenzionato per competere con l’acciaio prodotto in America. Ma penso un modo migliore per competere con la Cina sarebbe avere costi più bassi».

L’idea di Trump punta a a sostituire le tasse con i dazi, come principale fonte di finanziamento della spesa pubblica. Come ai tempi di McKinley, che fu presidente dal 1897 al 1901?
«Ma al tempo di McKinley la spesa del governo federale era forse il 4% dell’economia. Si poteva finanziare con dazi, tasse sugli alcolici e la vendita di terreni federali... però questo è stato molto tempo fa, e prima che il governo iniziasse a creare tutta una serie di programmi, che si prendono fino al 25% del Pil.
La gente dimentica che il motivo per il quale si istituì un'imposta sul reddito fu che alcune persone odiavano i dazi, mentre i sostenitori del proibizionismo volevano vietare gli alcolici, e quindi porre termine a quelle tasse su birra e liquori che rappresentavano una buona parte delle entrate federali.
A loro si sono poi aggiunti progressisti che volevano più spesa pubblica».

In cosa non funzionano i dazi?
«Se si potesse rendere il governo abbastanza piccolo da poter essere finanziato con dazi ragionevoli, sarei pure favorevole. Altrimenti, i dazi sono una tassa fittizia. La gente crede che siano i cinesi a pagare le tasse doganali imposte sui prodotti cinesi acquistati dagli americani: no, sono i consumatori americani a pagare le tasse doganali americane. In una guerra commerciale tutte le vittime sono il risultato di fuoco amico. I dazi americani danneggiano gli americani e i dazi cinesi danneggiano i cinesi».

C'è la famosa frase di Frédéric Bastiat: dove non passano le merci passeranno gli eserciti...
«(Ridendo). Una volta tanto, anche un francese può avere ragione».

E i tagli massicci che vuole fare il Doge Musk vanno nella giusta direzione?
«Penso che siano eccellenti. Anche Reagan aveva voluto l’industriale chimico Peter Grace alla testa di una Commissione per esaminare le spese federali, ed ottenne effettivamente 100 miliardi di riduzione della spesa. Non tantissimo, perché molte raccomandazioni avrebbero richiesto leggi. Ma quello che poteva essere fatto fu fatto. Non attirò però mai l’attenzione del pubblico, perché la grande stampa trovava il tema noioso. Ma Musk va invece avanti a colpi di tweet che vengono visti da decine di milioni di persone. Establishment e burocrazia sono stati così messi sulla difensiva, nel vedere alcuni sprechi che sono stati resi noti.
La sinistra è stata così messa con le spalle al muro, e credo che il Doge otterrà molti dei tagli e delle riforme che sta cercando».

Quali sono secondo lei esempi di governi virtuosi nel mondo?
«Innanzitutto Milei in Argentina, ma anche la Nuova Zelanda. Ovviamente l'Italia è notevolmente migliorata rispetto al passato, e sta andando molto meglio di altri Paesi europei. L’Italia di Giorgia Meloni ha un’opportunità di fare da mediatrice per evitare una guerra commerciale, ad esempio eliminando il Digital Markets Act e il Digital Service Act contro le Big Tech. Anche eliminare la Global minimum tax sarebbe un modo per avviare un dialogo costruttivo tra Usa e Ue per un accordo commerciale. Oggi tra il Presidente Trump e il Primo Ministro Meloni c’è non solo una affinità personale ma soprattutto ideologica, che attribuisce un vantaggio ideologico competitivo per l’Italia su altri paesi dell’Unione Europea. L’Italia è diventata un hub del conservatorismo europeo e internazionale».

Dai blog