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Donald Trump, pugno di ferro: ecco chi spedisce a Guantanamo

Pietro De Leo
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È certamente di impatto, nell’opinione pubblica americana e internazionale, l’utilizzo della struttura di Guantanamo, punta Sud Est dell’Isola di Cuba, per la «dislocazione di migranti ad alto rischio» che vengono espulsi dagli Stati Uniti.

Lì, infatti, furono rinchiusi i sospetti terroristi islamici ai tempi della Presidenza repubblicana di George W. Bush. Le tute arancioni dei detenuti divennero il simbolo di un luogo-chiave della lotta a quello che dopo l’11 Settembre era diventato il nemico della nazione-guida dell’Occidente. Il carcere di Guantanamo, pur tra depotanziamenti e tentativi non riusciti di chiusura nelle presidenze dei democratici, aveva sempre mantenuto quella funzione anche se con meno afflusso dei tempi iniziali, tanto che prima del ri-utilizzo sancito da Trump erano rinchiusi lì una quindicina di combattenti stranieri accusati di terrorismo.

 

 

 

Con la nuova fase di Guantanamo, le tute cambiano colore, ma la simbologia è comunque forte. Trump, infatti, ha scelto quel luogo come snodo del contrasto all’immigrazione clandestina, priorità che si è dato nella sua presidenza e su cui ha fatto molto breccia nel consenso degli americani. E Guantanamo sarà una collocazione provvisoria, in attesa che chi vi è rinchiuso sia trasferito nel proprio Paese d’origine o in un’altra destinazione idonea. Per il momento, giovedì sono arrivati due voli, dal Texas. Tra i trasferiti, anche una decina di componenti della violentissima gang venezuelana “Tren de Aragua”. Però un altro volo dovrebbe esser già atterrato mentre si leggono queste righe e altri ne partiranno nei prossimi giorni. E venerdì prossimo arriverà sulla baia anche Kristi Nome, la segretaria alla sicurezza interna, altro volto-simbolo di questo giro di vite anti clandestini, visto che la sua immagine, in giubbotto anti proiettile, berretto jeans, mentre partecipa alle operazioni anti-illegali dell’Ice a New York, è diventata virale.

 

 

 

L’idea che Trump ha su Guantanamo non sembra essere di corto periodo. Allo stato attuale delle cose, infatti, il carcere può ospitare 120 persone, però l’inquilino della Casa Bianca aveva affermato di voler portare la capienza a 30 mila. Questo significa lavori strutturali e un investimento.

Nel frattempo, continuano gli aggiornamenti sulle prospettive di rimpatrio. In un’intervista al New York Times, Tom Homan, lo “zar del confine Sud” che rappresenta il braccio operativo del contrasto alla clandestinità, ha affermato che «entro i prossimi 30 giorni» cominceranno i primi voli per rimpatriare i venezuelani in Patria, anche se non ha fornito dettagli spiegando che si sta ancora pensando a come concretizzare il piano. L’annuncio di Homan, peraltro, è arrivato dopo che l’inviato speciale di Trump, Richard Grenell, aveva incontrato il dittatore venezuelano Nicolas Maduro (che gli Stati Uniti non riconoscono). Il fattore Venezuela, negli Stati Uniti, è importante proprio perchè molti componenti delle gang criminali hanno quell’origine. E il discorso torna sulla “Tren de Aragua”. A questo proposito, Homan ha denunciato un fatto che sarebbe accaduto mercoledì scorso, a Denver.

 

 

 

Una maxi operazione dell’Ice, con funzionari armati di tutto punto e a bordo di veicoli blindati, aveva preventivato l’arresto e il rimpatrio di un centinaio di componenti della banda in diverse retate. Alcuni arresti ci sono stati, anche se il numero è imprecisato (secondo Fox News una trentina) e “lo Zar” ha accusato le fughe di notizie sulla stampa nei giorni precedenti riguardanti l’operazione. Sul lato numeri, la presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha fornito quanti espulsi dagli Stati Uniti sono stati accolti nel suo Paese: circa 11 mila, la maggioranza, circa 8400 compatrioti, il resto di altre nazionalità.
 

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