Se la sinistra è in trincea a difendere il woke
"Colpa dell’inclusione", così titolava ieri Repubblica l’articolo dedicato alla conferenza stampa tenuta da Donald Trump dopo il disastro aereo di Washington. Lo stesso concetto, quasi sempre virgolettato, lo si trovava nei servizi dedicati alla tragedia dalla maggior parte dei media, non solo italiani. Il fatto è però che Trump non ha mai detto quelle parole. Ha anzi esordito dicendo di non sapere ancora, come tutti noi, quali siano state le cause della collisione, ma di avere opinioni forti in tal proposito. Idee che ha espresso in una rapida disamina di quelli che sono a suo modo di vedere i problemi del trasporto aereo americano causati dalle politiche delle amministrazioni democratiche.
Da qui l’enfasi posta sulla mes «sa in crisi del principio meritocratico nelle assunzioni, ove ormai l’appartenenza ad una minoranza “protetta” conta più della competenza e preparazione specifica. Quello sollevato da Trump è un problema serio nell’America di oggi, ove le cosiddette politiche DEI (acronimo che sta per: Diversità, Eguaglianza e Inclusione) hanno agito negli ultimi anni in modo così pervasivo e così in profondità da aver cambiato volto ad una società che aveva messo sempre in primo piano il principio meritocratico.
Se l'indice della scollatura è il termometro della finanza
Tali politiche, imposte spesso anche alle aziende private, rappresentano un’ingiustizia in sé, ma possono diventare un pericolo serio per la vita dei cittadini se vengono adottate in settori di alta criticità e che esigono competenze di altissimo livello qualitativo. In sostanza, Trump ha lasciato intendere che incidenti del tipo di quello del Potomac, di cui non conosciamo ancora le cause, sono sempre dietro l’angolo se si continua ad adottare politiche scellerate e ideologiche. Ovviamente, Trump questi concetti li ha espressi in modo semplice, ruvido, come è nel suo stile. Ma, a dire il vero, è proprio questa la sua forza: non solo di sapersi sintonizzare sui problemi del cittadino comune, ma anche di usare un linguaggio basico simile a quello della gente.
Può piacere o no, ma è la democrazia, con il suo carattere prosaico e per niente eroico che già Alexis de Tocqueville aveva colto con innegabile intuito nell’America di due secoli fa. Era quella della conferenza l’occasione giusta per esprimere questi concetti? È stato giusto convocarla e non limitarsi ad un semplice comunicato di cordoglio per le vittime? Per quanto ciò possa urtare la sensibilità di molti, non necessariamente delle “anime belle”, bisogna rispondere anche in questo caso affermativamente.
Dopo l’incidente, gli americani volevano sentirsi tranquillizzati dalle massime autorità, le quali (non solo Trump ma anche il vice Vance) non solo non si sono sottratte ma lo hanno fatto con celerità. Illustrare le linee direttive della nuova amministrazione, non solo in questo settore, era perciò da un punto di vista politico un atto dovuto. Il risultato è che gli americani non solo hanno visto un presidente fermo e “sul pezzo” , ma si sono visti confermare ancora una volta nella sua idea di combattere fino in fondo la cultura woke. Che è poi un modo di attuare quella “rivoluzione del buon senso”, atta a far “ritornare grande l’America”, che egli aveva annunciato nel discorso di insediamento.
L’America è infatti fondata storicamente proprio sui principi che il woke tende a scardinare: il valore dell’individuo, la libertà, il merito. Gli States sono stati una “terra delle opportunità” proprio per questi fattori, che i cittadini comuni (anche gli immigrati regolari) continuano a sentire forti nel loro animo. Che Trump non faccia nulla per evitare certi “fraintendimenti” interpretativi, anzi sembra addirittura provocarli, è sicuramente vero. Il fatto che puntualmente le opposizioni mediatiche e politiche ci caschino, credendo di lederne l’immagine con le loro accuse, la dice lunga sulla loro incapacità di sintonizzarsi con la realtà e col sentimento dei più.
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