Medio Oriente, Hamas si riprende Gaza? La stampa italiana è in festa
Dalla mazzetta dei giornali di ieri colava un unico brodo di retorica sul Grande Ritorno del popolo palestinese a Gaza City. Da cui era stato costretto a sloggiare a causa della macchina bellica sionista, è il sottotesto neanche troppo implicito. Repubblica intervista l’artista palestinese Mohammed Sabaaneh (che non difetta di autostima, visto che i suoi disegni sono «ispirati a Picasso«) il quale lamenta: «Quella gente torna, ma non ad una vita normale. Tornano al nulla, tornano senza diritti. Ho pensato che la nuova Nakba si è avverata».
La “catastrofe”, come i palestinesi chiamano l’esodo forzato dalle proprie case innescato dalla guerra arabo-israeliana del 1948, contemporanea alla fondazione dello Stato ebraico, che appena nato venne subito attaccato da un vasto fronte arabo composto da Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq. La fonte primaria di tutte le infinite tragedie della regione è sempre stata la riottosità ad accettare l’esistenza degli ebrei riuniti e organizzati in Stato da parte dei loro “vicini”. Ma questo Mohammed non lo dice, non lo dice chi lo intervista, non lo dicono mai giornaloni e grandi inviati.
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Il racconto italiano (ed europeo) del Medio Oriente è sempre stato un esercizio di amnesia strabica, un distillato di Memoria unidirezionale e quindi smemorata, e l’epopea deamicisiana sul Grande Ritorno non fa eccezione, anzi porta questo vizio alle estreme conseguenze. Qui si pone un problema di Memoria a breve termine (proprio nei giorni in cui rammemoriamo la tragedia novecentesca della Shoah): scusate, ma perché diavolo c’era la guerra a Gaza? Perché molti profughi palestinesi rischiano effettivamente di tornare nel “nulla”? Perché Gaza 2025 pare Dresda 1945?
La risposta, ora come allora, è una. Allora era Hitler, oggi è Hamas. La porzione Nord della Striscia è stata teatro di violente operazioni belliche (che si sono ripercosse anche sulla popolazione civile) perché da lì, il 7 ottobre 2023, partirono delle squadracce nazi-islamiche in direzione del confine di Israele, lo varcarono, entrarono a caso nelle abitazioni dei civili (ma i civili israeliani, si sa, passano di moda in fretta) e iniziarono a sgozzare, seviziare, massacrare tutto il materiale umano che capitava loro a tiro.
Legarono intere famiglie insieme e diedero loro fuoco, si dedicarono alla violenza sessuale di massa contro le donne ebree (vale la regola di cui sopra, furono da subito stupri di serie B), planarono su una festa di giovani che ballavano nel deserto e spararono all’impazzata. Dopodiché sequestrarono anziani, donne, bambini, esseri umani colpevoli di essere ebrei e li condussero là, nelle viscere di Gaza. Non fu un atto di guerra, fu molto peggio: fu un bestiale pogrom terrorista in nome di Allah, che chiamò una reazione militare la quale costituisce un caso da manuale di guerra giusta, per chiunque non abbia smarrito il nesso tra le parole e il loro significato. Inciso: quando le belve di Hamas ostentarono nella Striscia i loro trofei umani, tra cui una ragazza a cui erano state spezzate le gambe, si videro scene di folla esultante. Non tutto il popolo palestinese sulla via del ritorno è innocente, la battaglia antisemita e apocalittica di Hamas (che ha per missione statutaria la cancellazione dello Stato d’Israele) ha consenso, coperture, il 7 ottobre ebbe tifo esplicito da una porzione non irrilevante della brava gente della Striscia.
Dopodiché, è verissimo che c’è un’altra ampia fetta di palestinesi, anch’essa tutt’altro che irrilevante, che è oppressa quotidiniamente da Hamas con la violenza più triviale. Cristiani, omosessuali (che da quelle parti vengono scaraventati dai tetti, ma questo non impedisce ai nostrani raduni arcobaleno di dichiararsi anche ProPal), dissidenti, civili che non ne vogliono sapere dell’inferno coranico. Ma siamo al (tragico) punto di partenza: il problema lì, in mezzo alle macerie della guerra, è sempre quel grande cumulo di macerie morali e (dis)umane che si chiama Hamas. Per cui, come spesso accade, l’idea di Donald Trump appare molto meno provocatoria di quanto dicono i cronisti pettinati: «I palestinesi vivrebbero meglio in un luogo non associato alla violenza. Vorrei che andassero in un'area dove possano vivere senza sconvolgimenti né rivoluzioni né violenza».
The Donald ha poi riferito di aver presentato il suo piano per sfollare 1,5 milioni di palestinesi dalla Striscia di Gaza al re Abdallah II di Giordania e al presidente egiziano al-Sisi. Quest’ultimo poi ha smentito (i cosiddetti “protettori” dei palestinesi quasi mai si dannano per ospitarli), in ogni caso il dossier è all’opera. Soprattutto, ci suggerisce un’ovvietà logica e linguistica: se c’è un popolo che sta rientrando in «un lungo fiume» (come da prima del Corriere) verso le proprie case e che può essere coinvolto in dimensioni più che milionarie in un piano di redistribuzione nel suo stesso interesse, significa che non c’è stato alcun “genocidio”. La parola più abusata (e svilita) dal mainstream è carta straccia, per effetto dei reportage premurosi del mainstream medesimo sul popolo in marcia. È il grande gioco dell’ipocrisia mediorientale, proprio quello su cui scommette Hamas.
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