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Ecco perché oggi la guerra fredda si gioca nello spazio

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Corrado Ocone
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La guerra fredda è tornata. Uno dei protagonisti è cambiato: gli Stati Uniti fronteggiano ora la Cina comunista e non la Russia, destinata al massimo al ruolo di gregario. Come nella prima guerra fredda, anche in questa seconda la lotta non è solo fra due Stati, ma assume i caratteri di una competizione globale fra sistemi politici, economici e soprattutto di valori opposti. La tecnologia è, oggi come allora, al servizio della lotta. Ci fu, nel bel mezzo della guerra passata, un “Momento Sputnik”. Fu quando, sorprendendo un po’ tutti (i regimi autoritari come è noto agiscono nell’ombra), i sovietici mandarono per la prima volta in orbita intorno alla Terra un satellite artificiale. Si manifestò in quel frangente, nelle élite statunitensi, il pericolo di essere superati nella tecnologia, e quindi di essere dominati anche su altri fronti dall’avversario.

Se la Russia comunista avesse vinto la “guerra dello spazio”, avrebbe presto messo l’America in un angolo imponendo la sua narrazione improntata ai principi del comunismo. Iniziò allora la corsa che avrebbe portato l’America sulla Luna: John Fitzegerald Kennedy enunciò l’obiettivo in un celebre discorso del 1962, in cui chiedeva uno “sforzo” a tutta la nazione per arrivare sul nostro satellite entro la fine del decennio. Il che puntualmente avvenne nel 1969. Da quel momento iniziò il declino del sistema sovietico che lo avrebbe portato all’implosione dopo un paio di decenni. Venendo alla seconda guerra fredda, quella di oggi, probabilmente il “momento Sputnik” c’è stato ieri l’altro quando la società cinese Deepseek ha lanciato a sorpresa la sua app di intelligenza artificiale, fra l’altro molto più economica di quelle americane oltre che, ovviamente, molto politicamente orientata. I titoli del settore a Wall Street sono andati, in men che non si dica, letteralmente a picco. Sarà l’America di oggi capace di una reazione all’ “effetto sorpresa” simile a quella che ci fu negli anni della prima guerra fredda? Vincerà alla fine la guerra della cosiddetta Intelligenza Artificiale e quella, che continua, nello spazio? Ovviamente, nessuno può dare risposte su quel che accadrà.

 

 

 

Quel che però si può dire è che l’America non arriva impreparata a questo appuntamento con la storia. Visto da questa prospettiva, lo spazio dato da Donald Trump ai leader delle Big Tech, testimoniato fra l’altro dalla loro presenza in prima fila alla cerimonia di insediamento del neopresidente, assume una prospettiva ben precisa e naturalmente opposta a quella che vi ha voluto leggere una sinistra ancorata a categorie novecentesche e non in grado di capire gli scenari del nuovo mondo. Chiamando a raccolta i protagonisti della Silicon Valley, favorendo il superamento dello loro antiche rivalità, Trump ha già compiuto un piccolo miracolo.

D’altronde, per vincere la battaglia bisogna fare sistema e, soprattutto, non esitare a rivendicare quei valori che hanno fatto grande l’America e che la Cina comunista non può accettare. Da qui la decisione, in quache modo “imposta” a Zuckerberg e agli altri, di eliminare dai loro social gli algoritmi tesi a limitare la libertà d’espressione, indirizzandola secondo i canoni dell’ideologia woke. Quei dispositivi finivano per assomigliare nemmeno troppo alla lontana ai meccanismi di controllo e sorveglianza messi in essere dalla tecnologia cinese. La stessa promessa di “piantare la bandiera americana su Marte” fatta nel corso del discorso a Capitol Hill ricalca, aggiornandolo alle nuove frontiere, il traguardo enunciato sessant’anni prima da Kennedy. A ben vedere, c’è un’assente in questa seconda guerra fredda ed è l’Europa, che prova addirittura ad abbandonare il suo storico alleato ostacolando le sue Big Tech e cercando inedite vie di “neutralità” nella battaglia in corso. Con quali conseguenze non è difficile immaginare. Se l’America ci tratta male ha poi tutti i torti? Quale utilità può trarre da un avversario che le mette il bastone fra le ruote con le sue regole astratte e fuori dal mondo?

 

 

 

 

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