Donald Trump, ecco perché è un'occasione per l'Europa
Al cuore (rosso antico) non si comanda, perciò a sinistra – con la nuova amministrazione statunitense - hanno ricominciato a detestare gli “amerikani”. Marcello Sorgi, sulla Stampa, spiega che «Pd eAvs hanno già maturato un giudizio durissimo nei confronti di Trump, accusando di conseguenza la premier (Giorgia Meloni, ndr) di essersi sottomessa» (gli stessi argomenti del Pci di Togliatti contro De Gasperi). Così riconosce Sorgi – il Partito Democratico rischia di «capovolgere del tutto» le sue posizioni recenti e «tornare indietro» verso «la politica anti -americana e anti-atlantista che per decenni aveva caratterizzato il Partito Comunista».
Certo, oggi la sinistra si nasconde dietro l’europeismo. E forse c’è davvero qualche burocrate, a Bruxelles, che sogna di contrapporre l’Unione Europea agli Stati Uniti, magari appoggiandosi alla Cina (ancora il rosso antico). Ma sarebbe il suicidio definitivo di una Ue già da tre anni in crisi. Anche perché, storicamente, l’unità europea è una creazione americana in funzione anti-comunista.
DAL 1945 IN POI
La rivista di geopolitica Limes, alla fine del precedente quadriennio di Trump alla Casa Bianca (quando già venivano al pettine i nodi di oggi), dedicò un intero numero a questo tema: “Antieuropa. L’impero europeo dell’ America”. Nell’editoriale della rivista diretta da Lucio Caracciolo (intitolato: “L’Europa non è europea”) si spiegava che «il suo tempo corre dal 1945 a oggi, procedendo dalla scelta statunitense di non evacuare la porzione di Europa controllata al termine della Seconda Guerra Mondiale per impedire che venisse assoggettata da Mosca: Stalin è all’origine di Nato e Comunità europea (poi Unione Europea) quanto Truman, con i “padri fondatori” europei in veste ancillare». Proseguiva l’articolo: «L’America resta di gran lunga la massima potenza europea», e «non è affatto vero che la Nato abbia perso lo scopo. La sua missione rimane quella affidatale da Truman: americani dentro, russi fuori, tedeschi sotto».
L’anno scorso Caracciolo tornò su questo tema ribadendo che «questo sistema europeo» è «figlio di un progetto geopolitico fondamentalmente americano». Fin dal 1945, «gli Stati Uniti vollero creare un unico blocco Euroatlantico contro l’Unione Sovietica». Nel 1947 varano il Piano Marshall per la ricostruzione economica e militare dell’Europa (occidentale) e nel 1949 nasce la Nato, il patto militare euroamericano. Poi, negli anni Cinquanta, l’unione economica dell’Europa occidentale: «Un documento che noi di Limes abbiamo pubblicato rivela come il presidente americano Truman, incontrando i ministri degli esteri europei, disse loro: Abbiamo un nemico che si chiama comunismo, dobbiamo metterci insieme per contrastarlo».
IL CROLLO DEL MURO
Dario Fabbri, sempre su Limes, scriveva: «L’Europa è il cuore dell’impero americano, il suo possedimento più luminoso, lo spazio tributario d’elezione. Per ottenerlo gli Stati Uniti hanno combattuto due conflitti mondiali, affrontato una guerra fredda, piegato un ancestrale isolazionismo». I problemi sono cominciati nei primi anni Novanta, con il crollo del comunismo dell’Est e la riunificazione della Germania. Il biennio 1992-1993 vede negli Usa l’inizio della presidenza Clinton, che creerà una nuova potenza comunista mondiale, la Cina, come fabbrica del mondo, e darà inizio al trentennio del caos. E in Europa il varo del Trattato di Maastricht, con la nascita dell’Unione Europea (allargata agli ex Paesi dell’Est).
In teoria la neonata Unione Europea avrebbe dovuto contenere la potenza della nuova Germania unificata, in realtà ha avuto effetti opposti. Theodore R. Bromund, in un articolo intitolato “America ed Europa hanno lo stesso problema: la Germania”, sempre su quel numero di Limes, osservava che «l’Unione Europea, fondata per frenare la potenza tedesca», era «diventata il mezzo primario attraverso il quale la sua componente economica viene esercitata – qui sì irresponsabilmente. Aveva dunque ragione Margaret Thatcher a preoccuparsi nel 1990... La premier britannica... fu lungimirante e preveggente».
Dunque il problema (geopolitico ed economico) dell’America con la Germania risale a quei primi anni Novanta dell’unificazione tedesca e della nascita della Ue. Infatti i parametri di Maastricht furono stabiliti in ossequio alla visione tedesca e l’euro, ideato per eliminare il marco e depotenziare la Banca centrale tedesca, in realtà – come un marco svalutato – mise le ali all’export della Germania, provocando proprio quel surplus commerciale che oggi causa la guerra dei dazi con gli Usa. Così, invece di ingabbiare la potenza della Germania unita, le fu regalato un impero, per l’appunto l’Unione Europea, e un turbo alla sua economia (l’euro). L’Italia è fra i Paesi che hanno pagato il conto.
Se però durante la prima presidenza Trump la Ue – su cui troneggiava la Germania della Merkel – aveva una sua solidità, che si appoggiava anche al Deep State americano anti Trump, oggi il panorama è capovolto. Non solo perché la presidenza Trump è fortissima, ma anche perché nel frattempo la Merkel se n’è andata e la forza economica della Germania, basata sull’energia a basso costo della Russia, è crollata per la guerra fra Ucraina e Russia. È seguita la crisi politica del governo tedesco, la quale ha portato alle elezioni anticipate che si annunciano dirompenti per la stessa Ue.
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GREEN DEAL ADDIO
Intanto pure l’altro partner egemonico, la Francia di Emmanuel Macron, si dibatte in una crisi politica disastrosa, cosicché l’unico Paese con un governo solido, fra i grandi fondatori della Ue, è l’Italia che, diversamente da Francia e Germania, ha ottimi rapporti con la nuova amministrazione americana. A questo si aggiunga che traballano i progetti strategici della vecchia Ue, come il Green Deal.
Dunque dall’epoca Trump può e deve emergere una nuova Ue, che ridimensioni la burocrazia di Bruxelles e che spazzi via le sue politiche dirigiste (e giacobine) che hanno progressivamente espropriato gli Stati della loro sovranità, imponendo regole disastrose (si potrebbe immaginare quasi un ritorno alla Cee). Questo ridarebbe respiro alle diverse economie dei Paesi dell’Unione Europea, e potrebbe riportarli a quella crescita che non si vede più da venticinque anni. In prospettiva, può essere una pacificazione generale dell’Europa.