Ultima ecofollia: chi fa la spesa tra i rifiuti del supermercato
L’ultima mania (che fa rima con follia): fare la spesa nel cassonetto della monnezza. La fila alla cassa, pure quella automatica, ma per carità: a parte l’inflazione (che, però, qui c’entra zero: mica è una questione di portafoglio), sacchi, sacconi, sacchetti e confezioni di plastica; gli ecologisti duri e puri, oggi, il cibo lo “comprano” nei bidoni dell’immondizia. Rovistano, spulciano, recuperano.
Toh, un melone un po’ ammaccato ma ancora buono. Guarda, un vasetto di yogurt che scade tra pochissimo. Che fortuna, del pane non raffermo.
Sofie Juel Anderson ha trent’anni, è danese, ed è il volto internazionale del dumpster diving: perché sì, signori, il fenomeno (decisamente internazionale) ha pure un nome ed è esattamente quello che dice la parola inglese. “Immergersi nel cassonetto”. Non nei cassonetti qualsiasi (almeno quello), semmai nelle pattumiere dei grandi negozi, degli store, delle catene, dei magazzini. Però il concetto è lo stesso. In questo modo, Anderson, che è un’influencer della vita sostenibile, ha «sempre il frigorifero pieno di cibo» anche se «nel 2024 ho speso solamente 99 dollari al supermercato».
Nessuna esigenza di ristrettezze economiche, lei (come tutti gli altri dumpster divers) potrebbe tranquillamente permettersi lo scontrino al market sotto casa, non lo paga per salvare l’ambiente. È la sua «scelta di vita», nata un po’ per caso, in Australia, quando con un’amica ha pensato: massì-ma-perché-no? E nel retro si un supermercato si è letteralmente gettata dentro a un bidone.
«La mia prima volta non ho preso tante cose», ammette: un po’ per la ritrosia dei novellini e un po’ perché alcuni suoi conoscenti hanno iniziato a storcere il naso. Schizzinosetti, loro. Ma Anderson non si è data per vinta. Il tanfo, la sporcizia: che saranno mai. «Spesso i cestini sono pieni di cibo confezionato», spiega sui suoi canali social, «polli interi, caramelle, bevande. Una volta ho trovato trecento lattine di bibite ancora intonse che vengono buttate solo perché le confezioni sono danneggiate».
Certo, la dieta va a farsi benedire (perché scegli zero: non è che puoi programmare un’alimentazione sana e bilanciata, quello che trovi raccatti), epperò coi soldi risparmiati puoi andarci in vacanza. O magari al ristorante.
Ché sì, d’accordo, lo spreco alimentare è il grande peccato dell’era moderna, specie nel mondo occidentale, e la verdura fa bene anche se ha qualche imperfezione, però poi resta che sei stata dentro un bidone dell’umido invece che al reparto latticini (e, infatti, parola sua, i negozi Anderson oramai li bazzica solo per comprare i prodotti legati all’igiene personale).
Tutto questo «riduce l’inquinamento» e configura anche un reato (in Italia quello di furto ai danni del Comune nel quale è presente il cassonetto perché i rifiuti lasciati alla raccolta differenziata diventano automaticamente di proprietà del sindaco, per cui si rischia pure una multa; in quasi tutto il resto del pianeta anche, con le ovvie sfumature delle varie legislazioni nazionali): ma non mettiamoci qui a sottilizzare. Vale no la pena.
Il dumpster diving, che è solo l’ultima invenzione di un’ecologia estrema che ci ha già regalato il popolo dei no-wash (quelli che non fanno il bucato per salvare la Terra e i jeans, al massimo, li sciacquano con l’aceto), dei no-washed (quelli che mettono al bando la doccia per non sprecare acqua), dei no-fly (quelli che non prendono l’aereo perché le emissioni e la solita tiritera, ché se devi andare fino a San Marino ancora okay, ma quella volta che hai un impegno a New York sei fregato), dei no-clothes (quelli che non comprano vestiti, manco un paio di calzini, e piuttosto vanno di rammendo su rammendo), è comparso in letteratura, non a caso in Australia, agli inizi del secolo e col nomefreegan. Oggi si è rinnovato. È abbastanza diffuso negli Stati Uniti (dove non è illegale) e nel Nord Europa (dove, invece, le leggi sono pressoché simili alle nostre). Anderson, su Tik Tok, macina video con circa tre milioni di visualizzazioni. Per dire.