Clamoroso al Louvre, perché pensano di spostare la Gioconda: cosa sta succedendoo
I francesi, con il Louvre di Parigi, hanno sempre fatto sul serio. Mentre Emmanuel Macron passerà come neve al sole, il Louvre rimane uno dei centri propulsori con cui, da duecento anni, senza nessuna indecisione tra destra e sinistra, i francesi fanno politica internazionale: mentre noi italiani chiacchieriamo di egemonie culturali tra un Sanremo e l'altro, il Louvre apre una nuova sede ad Abu Dhabi, negli Emirati arabi, si intesta le celebrazioni mondiali su Leonardo da Vinci, compra alle aste opere milionarie che diventano patrimonio nazionale, imbarca quasi 8 milioni di turisti l’anno, costruendo nell’ingresso sotterraneo una lunghissima entrata dove si fa profitto ed economia con le maggiori sigle della moda, del design e della tecnologia.
E' in questo contesto di iper-produzione di vera industria culturale che va letta la comunicazione che la presidente del Louvre, Laurence des Cars, ha indirizzato al ministro della Cultura francese: il museo più grande al mondo ha bisogno di essere complessivamente restaurato; il suo emblema, la Gioconda, non può più stare così, perché, così come si presenta oggi, è un feticcio senza pannelli descrittivi, mentre ha bisogno di essere inserita, insieme alle altre opere di Leonardo, in una sala separata, tutta dedicata al genio Da Vinci, che contestualizza e spiega meglio i capolavori. Se ne possono dare due letture, una superficiale, una profonda.
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MUSEI DI MASSA
Partiamo da quella superficiale. Dice la presidente del Louvre che la gente, davanti alla Gioconda, non legge le didascalie, non approfondisce, guarda, si fa il selfie e passa. E' una sciocchezza, e lei lo sa benissimo. I musei di massa, nella contemporaneità, dovrebbero abolire le didascalie, questi innocui pannellini di cartone, scritti piccolo, in basso, che se ti chini per leggerli suona l’allarme. Roba del secolo passato, quando nei musei ci andavano soltanto gli acculturati. Al Louvre ci va chiunque. La Gioconda non ha bisogno di didascalie. Chi vuole, si documenta prima e dopo. Non sul luogo. In un museo di massa da milioni di visitatori, la conoscenza avviene attraverso altri strumenti tecnologici, dai cellulari alle audio-guide, da internet ai libri: non attraverso goffe pannellature esplicative che nessuno legge. Il XX secolo è passato, e il Louvre lo sa bene.
Dunque trovare una migliore collocazione della Gioconda, in dialogo e sinergia con gli altri capolavori, dall’Annunciazione alla Vergine delle Rocce, dal San Giovanni Battista alle altre opere, è sicuramente un buon piano di rivisitazione museografica, magari implementando la dotazione coni codici e i manoscritti del Da Vinci conservati all’Istituto di Francia. Ma il punto non è così in superficie. La richiesta di trovare un maggior appeal scenografico a Monna Lisa e restaurare il resto sottintende il vero scopo. Qual è? Aggiungere ulteriore grandeur sullo scenario mondiale al maestoso volano economico, identitario, nazionale, industriale che è il Louvre. Questo museo nasce come volontà di potenza: è potenza allo stato puro. La sua storia è lunga otto-nove secoli ma, da Napoleone in avanti, compito del Louvre non è conservare: è essere il luogo dei luoghi, il luogo dove si preserva quanto di meglio l’umanità abbia prodotto dalle sue origini ad oggi: oltre 600mila opere e manufatti sono conservati, a futura memoria.
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TAVOLA DI PIOPPO
Sgombriamo infatti il campo dalle fantasie: la Gioconda non torna in Italia. La ragione storica è semplicissima: fu lo stesso Leonardo da Vinci, dopo averci lavorato tra il 1503 e gli anni successivi, a offrire questa benedetta tavola di pioppo al re di Francia. Dal 1516 è in territorio francese, ad eccezione del fugace furto che nel 1911 ne fece l’italiano Vincenzo Peruggia, consentendo alla Gioconda un viaggio avventuroso tra le nazioni che mai più fece, dopo il rientro al Louvre nel 1913.
La ragione politica della permanenza parigina della Monna Lisa è ancora più semplice e tenace: la Gioconda è divenuta un’icona mondiale così economicamente redditizia, così pervasivamente riconoscibile, chele politiche culturali della Francia sono ormai indistricabili da questo piccolo lenzuolo di pioppo.
Le economie delle case d’asta internazionali, da Sotheby’s a Christie’s, si parametrano sul finto “Salvator mundi” di Leonardo da Vinci battuto e comprato dagli arabi per 450 milioni di euro, con l’intento di farne, insieme ad altre opere, un “Louvre 2” in terra araba. I musei americani, dal Metropolitan di New York al Getty Museum di Los Angeles, si sono costruiti e tuttora vivono, volendo esplicitamente duplicare la volontà di potenza del Louvre.
POLITICA
A differenza dell’Italia, che discute per mesi delle lenzuola tra l’ex ministro Sangiuliano e la Boccia e le va bene che metà dei suoi musei siano visitati soltanto dai topi, la Francia ha capito che la cultura può essere un favoloso settore strategico di politica internazionale. Il comunicato della presidente Laurence des Cars è una richiesta di nuova grandezza al Louvre per i prossimi decenni. Tutti i francesi sanno che i Macron e le maggioranze governative, seppur necessari nel gioco democratico, scorrono via come l’acqua di torrente: la Gioconda, il Louvre e la sua volontà di potenza restano.
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