Occidente, è stata la sinistra a provocarne il declino. E ora lo ha capito anche l'establishment
Che la presidenza Trump chiuda un’epoca e ne apra una nuova, molto diversa, in America e nel mondo, è ormai convinzione unanime. Ma è Trump che ha “creato” questa nuova America “conservatrice”, oppure è la realtà dell’America profonda che - di fronte al fallimento del ciclo storico che va da Clinton a Biden – ha colto al volo il “fenomeno Trump”, capace di interpretare i sentimenti e i bisogni della gente, per cambiare radicalmente strada? La prima è la spiegazione di coloro (anche gran parte delle cancellerie europee) che continuano a disprezzare il voto degli americani e si rifiutano di riconoscere gli errori e il fallimento dell’epoca finita con Biden e Harris.
Non vedono la crisi mortale dell’Occidente e, ritenendo quello “progressista” e woke il regno del Bene, possono demonizzare Trump come il pericoloso artefice del Male (la tecno-destra e tutto il resto). La seconda spiegazione è ovviamente quella dei sostenitori di Trump. Ma – e questa è la novità – è fatta propria anche da molti che non simpatizzano per lui personalmente, tuttavia riconoscono che si era in un vicolo cieco a causa di errori colossali e scelte ideologiche che hanno prodotto grande instabilità sociale e caos geopolitico, privando l’Occidente della leadership mondiale.
La vescova che predica per i "bambini trans" odia Trump da sempre
È il caso di un consistente pezzo di establishment americano che, a differenza della prima presidenza Trump (2016-2020), ora si è schierato con il nuovo presidente (o comunque non più contro). Questo “allineamento” è la più importante novità della seconda presidenza Trump. E non si può banalmente liquidare come “opportunismo” (il ritornello che ripetono certi media), tanto è vero che non si verificò nel 2016. L’establishment semplicemente riconosce che la realtà prevale sull’ideologia. La correzione di rotta delle élite è un fenomeno che sta cominciando anche da noi. Un esempio è il recente libro intervista di Franco Bernabè (con Paolo Pagliaro), In trappola. Ascesa e caduta delle democrazie occidentali (e come possiamo evitare la Terza guerra mondiale), edito da Solferino.
Bernabè è definito nell’introduzione «Manager italiano cosmopolita, unico occidentale per anni nel board del più importante gruppo petrolifero cinese». Ha ricoperto ruoli significativi all’Ocse e alla Fiat, è stato amministratore delegato di Eni e Telecom e ha fatto parte del direttivo del Bilderberg. È significativo che il suo libro sia uscito nell’ottobre scorso (quindi prima delle presidenziali Usa) e che Bernabè non manifesti affatto simpatia personale per Trump (o per i cosiddetti “sovranisti”). Eppure la sua analisi fa capire perché la realtà dei fatti ha portato a Trump. Il primo capitolo del libro s’intitola “Un disastro iniziato con Clinton”. Bernabé spiega cos’è accaduto dopo il crollo del comunismo: «La presidenza Clinton (dal 1992 al 2000, ndr) è stata uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo.
Ma nel senso opposto a quello che sostiene la vulgata progressista. Io penso che con Clinton sia cominciato il declino dell’Occidente e soprattutto il declino della democrazia». Bernabè imputa al Dem Clinton quattro scelte strategiche dalle conseguenze devastanti: «Quattro filoni di intervento che poi hanno segnato profondamente le politiche degli altri governi occidentali: la liberalizzazione dei mercati finanziari, la totale deregolamentazione della tecnologia, lo smantellamento dei meccanismi di protezione sociale introdotti da Roosevelt e l’ammissione della Cina al Wto». Per esempio: «Uno degli ultimi atti di Clinton è stato il via libera all’accesso della Cina al Wto con lo status di nazione in via di sviluppo, status che Pechino pretende ancora oggi. E che ha portato la Cina, che allora aveva un Pil di 1300 miliardi di dollari, ad aumentarlo praticamente di quindici volte, diventando la manifattura del pianeta. Oggi la Cina produce metà dell’acciaio del mondo, metà del cemento, metà dei fertilizzanti. Assieme all’India, produce i principi attivi per moltissimi medicinali salvavita. Ed è diventata un gigante tecnologico, che sfida gli Stati Uniti anche su questo terreno».
Le conseguenze sociali per gli Usa e l’Europa sono state colossali. Dice Bernabè: «Trump in un discorso ai lavoratori di Pittsburgh ha sintetizzato con queste parole l’esperienza della liberalizzazione del commercio internazionale: “La globalizzazione ha arricchito l’élite finanziaria che finanziai politici ma ha lasciato a milioni dei nostri lavoratori niente altro che la povertà”».
Non solo. Spiega Bernabè: «Il Commodity Futures Modernization Act (di Clinton, ndr)» è una «legge di liberalizzazione dei mercati finanziari che» con un’altra «è poi all’origine della crisi del 2008. È proprio il Commodity Futures Modernization Act, infatti, che apre la strada alla crisi dei subprime, la più grave crisi finanziaria subita dall’Occidente dopo il 1929». «Eppure» osserva l’intervistatore «Clinton e le sue politiche sono ancora un punto di riferimento molto forte per governi e partiti progressisti. Come te lo spieghi?». Risposta di Bernabè: «Dovrebbero spiegarlo loro... il risultato della trasformazione genetica del capitalismo avviata a partire dalla presidenza di Clinton è sotto gli occhi di tutti: a più di vent’anni di distanza, osserviamo un’enorme crescita del malessere in tutto l’Occidente, con dei fenomeni che mai ci saremmo aspettati di vedere».
La strada presa da Clinton – aggiunge- «ha innescato paradossalmente il declino dell’Occidente. Determinando, tra le altre cose, l’impetuosa avanzata della Cina. Parte da Clinton e viene amplificato da Tony Blair e dai teorici della terza via il processo di involuzione dell’Occidente che porta alla crisi di oggi: l’idea che si possa fare a meno della manifattura e che al centro del sistema economico ci siano la finanza e la tecnologia, l’idea che i diritti civili siano più importanti dei diritti economici sui quali è stata costruita la storia dei partiti progressisti».
Bernabè solleva dubbi pure su altre bandiere ideologiche del trentennio progressista: la Ue («C’è una contraddizione di fondo tra il livello dell’utopia e il livello della realtà») e il clima («C’è il rischio che in Occidente un certo dogmatismo climatico, una ‘isteria’ sul pericolo rappresentato dalle fonti fossili, possa essere all’origine non solo di una diminuzione del benessere ma anche di una crisi del modello democratico»). Certo, Bernabè parla da manager e gli sfuggono altri aspetti (per esempio i problemi sociali posti dall’immigrazione). Tuttavia è chiaro che è finita l’epoca delle follie ideologiche progressiste e s’impone un sano realismo. Come dice Trump, torna il “buon senso”.
Un'inchiesta contro Joe Biden: tam-tam alla Casa Bianca, la mossa estrema di Donald Trump