Melania Trump, perché il suo cappello è un manifesto politico
I suoi occhi non si vedono ma gli occhi del mondo son tutti su di lei. Il marito s’avvicina per schioccare sulle gote, già molto alte, ma il bacio andrà a vuoto. Perché la falda di Melania è ampia. Talmente ampia da impedire non solo lo sguardo degli estranei, ma pure il bacetto del presidente consorte. Il bacino di The Donald, in Campidoglio, che si prodiga in un apostrofo rosa tanto ardito quanto inattuabile. Ed ecco. Più che una prima donna con cappello, Lady Trump è un manifesto politico. Nascondersi per attirare lo sguardo? Magia del “male gaze”. Svelarsi per rivelarsi? Si potrebbe definire “teoria della tesa larga”...
Ma ricapitoliamo. Il presidente si prodiga in un bacio proibito dal cappello blu. Cappello a tesa larga che diventa, si diceva, manifesto politico. E sarà per quel suo invito alla distanza, sarà per quel suo richiamo allo sguardo maschile (il “male gaze” dell’uomo dietro la macchina da presa, tanto ricorda, Melania, la Grace Kelly di “Caccia al ladro”), ma il cappello della first lady diventa un’immagine-simbolo che sollecita il meme e la caption facile. Il commento dei maschi (stregati) e delle femmine (stregonesche).
Perché mentre le twittarole nostrane speculano sul nascondimento e su Melania quale simbolo di sottomissione (Lady Trump gliel’ha confidato? È amica loro?), le più maligne del mondo, vedi Rachel Tasjin, esperta di moda del Washington Post, sul capolavoro di Eric Javits ricamano stroncature in forma di elogi involontari. Tasjin dà a Melania della «vedova di un mafioso», poi della «madre badessa di un oscuro ordine religioso». Le dà quasi della sacerdotessa, insomma, o della vestale. Collocandola a due passi dal divino. Intanto, comunque, il cappello fa il giro del mondo. Riscatta il crine aranciato del marito. Fa dimenticare il gel del figlio Barron che, nato nel 2006, pare un rampollo newyorkese di inizio anni Ottanta (fuori tempo massimo). E diventa quindi un manifesto che cancella tutte le eventuali cafonate e le t-shirt grigiastre dei super ricchi in forza della sua presa di distanza dalla bolla social e dal mondo. Mondo che di norma, invece, indossa di buon grado il cappellino (quello di Elon Musk da cui Melania – a tesa larga – prende le distanze). Cappellino ovvero berretto intersex a portata di tutti e tutte. Cappellino a-gender e dunque anti erotico dell’uno vale uno, dell’uno vale una, dell’una che non vale Melania e delle twittarole che speculano in tuta e berretto dal divano di casa.
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Il cappello a tesa larga – manifesto di una nuova era – cancella tutto: t-shirt e berretti asessuati. Li rimuove dai radar per restaurare il binarismo di genere. E per smarcare, quindi, maschi e femmine. E per tenere a distanza, poi – almeno in pubblico – mariti e mogli (come nella dizione newyorkese di Woody Allen). Il cappello a tesa larga di Melania è quindi un manifesto politico non meno che una teoria estetica. Ed è, infine, un test esistenziale per chiunque lo indossi. Anzitutto perché presuppone una certa sicurezza o quella punta di narcisismo necessario al buon vivere (punta di narcisismo che è molto lontana dalla cultura esibizionista del secolo e dalla sincerità a tutti i costi che – per dirla con Christopher Lasch – priva le persone della maschera e sfuma la linea tra pubblico e privato). E poi perché è una forma di barriera che fa paura. Un muro e un binario – a tesa larga – che determina la qualità di chi lo infrange. Compratelo o riesumatelo, un Borsalino. Vi renderete conto che, oltre a essere un manifesto politico, è davvero un test esistenziale sul coraggio dall’altra parte del muro. Un test sul genere maschile e sulla sua forza d’infrangerla, quella barriera, anziché restarci lontano per una forma di soggezione.
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