Fatta la pace resta la guerra
Che cosa sono la vittoria, la sconfitta e la pace? Sono queste le domande che bisogna porsi di fronte alle sfide della contemporaneità, alle guerre in Medio Oriente e in Ucraina, proprio nel momento in cui Israele e Hamas stanno negoziando una tregua. La vittoria in un conflitto si definisce attraverso la resa del nemico, nel caso di Hamas - che è palesemente sconfitto - non c’è una dichiarazione di resa, ma semplicemente un’intesa su uno scambio di prigionieri e un cessate il fuoco.
Sono “dettagli” che vengono ignorati dalla cronaca, ma sono essenziali. Riepilogo: Israele a Gaza ha vinto, Hamas ha perso, ma i terroristi (perché questo sono) non ammettono la debacle. E la ragione di questo non detto è a sua volta un altro non detto in cronaca: quel gruppo armato non ammette l’esistenza di Israele, lo considera il male assoluto da estirpare, il risultato è che la causa principale della guerra, l’odio contro gli ebrei, resta intatto, pronto a ripresentarsi ai cancelli della storia. Ecco perché quella che si sta siglando a Doha è solo una parentesi e non il punto su questa storia, è un capitolo ma non la fine del romanzo del terrore.
Vedremo quale sarà l’esito degli accordi, mi viene in mente un titolo per il futuro: firmata la pace, scoppia la guerra. Se passiamo al conflitto in Ucraina, abbiamo davanti a noi una situazione ancor più complessa: né la Russia né l’Ucraina possono dichiarare di aver vinto, né Mosca né Kiev possono permettersi la sconfitta, in questa impossibilità di perdere si racchiude il dilemma della pace. Non potendo esistere uno sconfitto, non c’è neanche un vincitore, dunque potremmo avere il risultato di una guerra non finita e perciò infinita. Questo è il rebus in cui siamo immersi, quando lo scopo della guerra non è raggiunto pienamente si entra in una terra di nessuno, mentre lo sconfitto non si considera tale e progetta la rivincita, nel cuore dell’Europa la partita a scacchi con la morte va avanti in attesa che il re cada da solo.