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Stormy Daniels, Trump condannato (a niente): sinistra sconfitta, e ora Donald...

Dario Mazzocchi
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Unconditional discharge è il termine legale che descrive l’esito del processo che vedeva Donald Trump imputato per aver pagato il silenzio di una pornostar con cui ha avuto una relazione. Il neoletto presidente americano, a dieci giorni dal suo insediamento, ha ricevuto una condanna che non prevede la detenzione: la sentenza è stata emessa ieri dal tribunale di Manhattan e dal giudice Juan Merchan. In sostanza, nessuna galera, nessuna libertà vigilata, nessuna sanzione, ma una fedina penale sporca: quel tanto sia per gli annali che per l’opposizione.

Trump diventa infatti non solo il primo ex presidente, ma anche il primo inquilino in procinto di (ri)mettere piede alla Casa Bianca con un reato a suo carico. Quello che passerà alla storia come il processo Stormy Daniels, dal nome dell’attrice hard coinvolta, è stato un cavallo di battaglia nella campagna elettorale che si è conclusa con la vittoria del candidato repubblicano. Nel corso dell’unico dibattito televisivo con Joe Biden, che ha spinto i Democratici a cercare in Kamala Harris una sostituta affidabile, l’attuale presidente aveva definito Trump «un gattaccio di strada», riferendosi alla sua morale e al fatto che avesse avuto incontri sessuali con Daniels mentre la moglie Melania era incinta.

La sentenza non ha scalfito il repubblicano che ha espresso il suo pensiero con un post sul social Truth: «I Democratici radicali hanno perso un’altra patetica e antiamericana caccia alle streghe». «L’evento di oggi – ha proseguito – è stato una farsa spregevole e, ora che si è concluso, faremo appello contro questa farsa, che non ha alcun fondamento, e ripristineremo la fiducia del americani in quello che un tempo è stato il nostro grande sistema giudiziario». D’altra parte dalla sua può contare sull’esito forte delle Presidenziali che hanno dimostrato come, perla maggioranza dell’opinione pubblica, l’eventualità di una condanna contasse poco o niente, mentre gli attivisti democratici paventavano lo spettro di un “felon in chief”, criminale in capo anziché comandante.

La vicenda legale risale al 2016, con la prima candidatura di Trump. Daniels ha dichiarato di aver ricevuto quell’anno un pagamento di 130.000 dollari dall’allora avvocato del tycoon, Michael Cohen, per un accordo sulla non divulgazione di informazioni sulla relazione intercorsa con Trump nel 2006. Una transazione che ha sollevato il dubbio se potesse costituire una violazione delle leggi sul finanziamento delle campagne elettorali. Cohen nel 2018 si dichiarò colpevole e testimoniò che fu Trump ad ordinargli di effettuare il pagamento.

L’udienza di ieri, alla quale il presidente designato ha assistito da remoto, è durata all’incirca mezz’ora. Merchan, nell’emettere la sentenza, ha voluto sottolineare che «il cittadino comune Donald Trump non avrebbe diritti a tali considerevoli protezioni», derivanti dallo status presidenziale.

Ha voluto quindi sottolineare come tali garanzie «non riducono la serietà del crimine» e come l’intero processo sia stato un procedimento «straordinario» per l’attenzione mediatica attorno ad esso. Un’attenzione al quale ha contribuito lo stesso giudice fissando a sorpresa la lettura della sentenza a pochi giorni dall’insediamento: nell’ultima settimana gli avvocati di Trump si sono rivolti anche alla Corte suprema con la richiesta di sospendere la pena, ma giovedì, con 5 voti contrari e 4 a favore, la domanda è stata respinta.

«Sono stato incriminato per aver definito una spesa legale quella che è una spesa legale. Voglio dire che è un imbarazzo per la città di New York», ha dichiarato Trump dalla residenza operativa di Mar-a-lago. «Vorrei solo spiegare che sono stato trattato in modo molto ingiusto, e vi ringrazio moltissimo», ha continuato con lo stesso approccio sprezzante con cui ha partecipato di persona alle udienze. Mentre era alla sbarra degli imputati, i suoi elettori sono infatti aumentati pur dovendosi assentare dalla campagna elettorale per sei settimane nel corso dell’estate.

Che la sentenza non prevedesse incarcerazione o altro il giudice Merchan lo aveva lasciato intuire già nel fissare la data della sua lettura. Un finale di sceneggiatura già scritto insomma, ma con uno sfizio finale: che andasse in scena prima della cerimonia in Campidoglio. «Signore, le auguro buona fortuna mentre si appresta ad assumere un secondo mandato», ha commentato Merchan. Forse ironicamente, forse no. Agli atti resta che Trump chiude con un semplice rimprovero, una pacca sulla mano. Tanto rumore per nulla.

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