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Il furbetto Macron chiede scusa ai francesi. E intanto rilancia un referendum. Quale?

Mauro Zanon
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Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale dello scorso giugno «ha provocato più divisioni che soluzioni per i francesi». A pronunciare queste parole non è stato Jean-Luc Mélenchon, guru della sinistra radicale d’oltralpe, e nemmeno Marine Le Pen, leader dell’opposizione sovranista, ma il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, nel discorso di fine anno ai suoi concittadini. «Se ho deciso di sciogliere (l’Assemblea, ndr) è stato per ridarvi la parola, per ritrovare chiarezza ed evitare l’immobilismo, ma la lucidità e l’umiltà impongono di riconoscere che per il momento questa decisione ha prodotto più instabilità che serenità, e me ne assumo tutta la responsabilità», ha dichiarato l’inquilino dell’Eliseo, in un rarissimo, pressoché unico momento di contrizione a reti unificate. L’aveva definita «ineluttabile» e «necessaria», «la decisione più grave, ma più responsabile» che potesse essere presa dopo il successo del Rassemblement national alle elezioni europee, accusando l’opposizione di non averla «compresa».

Oggi, dopo mesi di crisi politico-istituzionale, la nascita e la caduta del governo più effimero della Quinta Repubblica, un Parlamento bloccato e livelli di deficit e debito pubblico fuori controllo, Macron riconosce che quel gesto di «chiarificazione» (così aveva definito la dissoluzione) è stata una decisione avventata. «Nel mea culpa si è spinto assai lontano rispetto agli standard personali», ha dichiarato la politologa Chloé Morin. «i$ un fatto estremamente raro. i$ un vero mea culpa», ha sottolineato Frédéric Dabi, direttore del dipartimento Opinion dell’istituto sondaggistico Ifop. Secondo Dabi, tuttavia, non basterà questo pentimento di fine anno a «riparare un legame che si è profondamente danneggiato tra i francesi e il presidente». Uno studio Ipsos per la Tribune du dimanche pubblicato a inizio dicembre aveva evidenziato il crollo della popolarità di Macron tra i francesi: 23%, meno sette punti percentuali rispetto alla stessa rilevazione di settembre. Il dato è il più basso dall’inizio del secondo quinquennio, e per ritrovare un livello di popolarità ancor più nefasto bisogna risalire al dicembre 2018, in piena crisi gilet gialli.

 

Durante il suo discorso ai francesi, Macron ha comunque provato a vantare alcuni “successi” del 2024, come la costituzionalizzazione dell’aborto, le Olimpiadi di Parigi e la riapertura di Notre-Dame a cinque anni dall’incendio, annunciando che nel 2025 spetterà ai francesi «decidere» su una serie di questioni chiave: un riferimento all’indizione di possibili referendum, soluzione più volte avanzata dal Rassemblement national. Sottolineando che «l’instabilità politica» non è una «peculiarità della Francia» e tocca anche «i nostri amici tedeschi», Macron ha affermato che l’attuale composizione della Camera bassa francese «rappresenta il Paese, nella sua diversità e quindi anche nelle sue divisioni: è pienamente legittima e questa configurazione inedita ma democratica deve essere in grado di individuare delle maggioranze, come fanno del resto i Parlamenti delle grandi democrazie. Il nostro governo deve poter seguire un cammino di compromessi per agire». Ma non sarà semplice per il neo primo ministro, François Bayrou, avanzare in questo clima di incertezza e con un presidente sempre più fragile e isolato.

 

 

 

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