Cecilia Sala, ecco le accuse contro l'iraniano fermato a Malpensa: c'è lui dietro all'arresto?
Una spia, un uomo al servizio delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane, un finto imprenditore che da almeno dieci anni lavora per il regime degli ayatollah, cliente principale, se non unico, della San’at Danesh Rahpooyab Afklak (Sdra), la società informatica che lui ha fondato nel 2011 a Teheran, a soli 25 anni. Colui che ha assemblato il sistema di navigazione che permette alla dittatura islamica di dirigere i propri missili contro obiettivi sensibili occidentali: lo ha piratato negli Stati Uniti e lo ha venduto in Iran. Questo è il profilo che l’Fbi ha tracciato di Mohammad Abedini, 38 anni, ingegnere iraniano residente in Svizzera, nel mandato di cattura internazionale spiccato dalla Corte del Massachusetts, a carico suo e di Mohammad Sadeghi, suo socio e connazionale riuscito negli anni a diventare anche cittadino americano.
Il presunto agente segreto è stato arrestato dagli agenti dell’anti-terrorismo della Digos all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre, dove era in transito da Istanbul, diretto verso la Svizzera. Ora si trova nel carcere di milanese di Opera, dopo essere passato anche per quello di Rossano, in Calabria, ma il suo legale chiede sia riportato a Busto Arsizio.
LA BASE COLPITA
Abedini è accusato dagli 007 americani di aver acquistato tecnologia statunitense e di averla esportata in Iran, attraverso la Illumove, società elvetica da lui creata allo scopo, in violazione dell’embargo e delle sanzioni in vigore dal 2015 nei confronti di Teheran. In particolare, la Sdra avrebbe venduto alle Guardie Rivoluzionarie (Irgc) il Sepher Navigation System, un sistema proprietario di navigazione di droni e missili. Sarebbe proprio grazie a esso che, secondo l’accusa, Teheran il 28 gennaio scorso ha colpito la base Usa in Giordania Tower 22, causando la morte di tre soldati americani e ferendo altre 38 persone. L’Fbi afferma di avere le prove che il microprocessore che ha guidato il drone killer è stato esportato in Iran nel marzo 2022.
Le accuse, per le quali l’ingegnere rischia l’ergastolo, vanno dall’associazione a delinquere alla cospirazione, alla violazione delle leggi sul commercio. Ma la vera accusa, quella politica, è di essere un agente segreto al servizio di uno Stato terrorista, visto che sia gli Usa sia l’Unione Europea hanno inserito i pasdaran nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. L’arresto di Abedini, convalidato dalla Procura e per il quale gli Usa hanno presentato ieri richiesta ufficiale di estradizione, è tornato d’attualità dopo che si è diffusa la notizia dell’arresto a Teheran della giornalista Cecilia Strada. La donna, a Teheran con visto, è stata fermata tre giorni dopo la cattura dell’ingegnere, prelevata nella sua stanza d’albergo senza che a suo carico siano state rese note accuse particolari.
Ricostruzioni della stampa, non confermate dalle autorità, sostengono che i due episodi siano legati e che il regime pensi di poter utilizzare la ventinovenne romana, imprigionata dal 19 dicembre nel terribile carcere di Evin, come merce di scambio per impedire il trasferimento negli Usa del fondatore della Sdra. Abedini, interrogato dai magistrati italiani, ha respinto ogni accusa e pronunciato un unico monosillabo, «No», alla richiesta se acconsentisse all’estradizione.
Per lui ha parlato ieri il suo avvocato, Alfredo De Francesco, legale d’ufficio che l’arrestato per ora non ha cambiato. «Il mio assistito sta bene ma è teso, perché non comprende i motivi dell’arresto. Esaminati gli atti, la sua posizione è meno grave di quanto sembra» ha dichiarato l’avvocato. Sibillina invece la risposta ai cronisti sui supposti collegamenti con il caso Sala: «Sono cose che non si possono dire né affermare, altro non aggiungo».
CHIESTA L’ESTRADIZIONE
La vicenda è destinata a diventare un caso diplomatico. L’arresto è stato fatto su richiesta degli Stati Uniti per violazione di leggi americane ma ora Abedini è nelle mani della giustizia italiana. Sarà la Corte d’Appello di Milano a valutare se sussistono le condizioni per accogliere la domanda di estradizione di Washington, anche se il via libera definitivo spetterà al ministero della Giustizia, che avrà dieci giorni per decidere. La pronuncia non ci sarà comunque prima di febbraio, visto che gli americani hanno tempo fino al 28 gennaio, quaranta giorni dall’arresto, per presentare una documentata relazione sui crimini addebitati all’ingegnere.
A ingarbugliare il quadro, non poteva mancare la Procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta conoscitiva, senza indagati e senza reati ipotizzati, sulle modalità di arresto del presunto spione. Della serie, il garantismo è salvo.
Del fermo, per ora si sa che Abedini è stato trovato con tre telefonini, e una componentistica elettronica in valigia che la questura ha giudicato «compatibile con i reati contestati dal tribunale americano» nonché con materiale cartaceo, bancario e commerciale valutato «di interesse investigativo». Ma sono le trentasei pagine di relazione dell’Fbi che tracciano un quadro che lascia poco spazio alla fantasia. In esse si ipotizza che la Sdra «venda fin dal 2014 tecnologia militare alle Guardie della Rivoluzione e ha contratti con l’aviazione e la marina iraniana per la fornitura di materiale bellico».
CONSULENTE DEL REGIME
Non solo. Sempre secondo il rapporto dell’Fbi, l’ingegnere iraniano avrebbe trasferito agli ayatollah materiale bellico vietato prodotto da una società americana che era diventata fornitrice della Sdra. Sono documentati sistematici viaggi dell’uomo in Iran subito dopo aver incontrato in Svizzera dirigenti della suddetta compagnia statunitense. Abedini, nell’atto d’accusa, risulta anche «consulente dei pasdaran e dell’esercito iraniano».
La relazione documenta inoltre il rapporto tra l’arrestato e Sadeghi, personaggio molto controverso, con un profilo compatibile con quello di un agente sotto copertura in un Paese nemico, che l’ingegnere avrebbe incontrato, non troppo casualmente, in un suo viaggio in Iran prima di fondare la Illumove. Abedini sarebbe riuscito a far avere contratti di lavoro a Sadeghi dalla società americana dalla quale acquistava di frequente materiale bellico. Quest’ultimo opera negli Usa attraverso una seconda società americana che come copertura produce abiti sportivi di alta qualità e la cui promozione è stata più volte utilizzata dal finto imprenditore per giustificare i suoi ripetuti viaggi in Iran, con la scusa di vendere i prodotti all’élite locale. Se le accuse degli americani sono vere, si comprende perché il regime degli ayatollah ha così caro Abedini. Una sua estradizione negli Stati Uniti svelerebbe le trame di uno spionaggio internazionale vastissimo.
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