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Donald Trump, se la vera Casa Bianca si trova a Mar-A-Lago

Marco Patricelli
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Casa e bottega. Più che succursale estemporanea, un centro di potere fuori dal circuito dell’ufficialità dove si prendono decisioni che contano. Altro che club casalingo esclusivo. Mar-a-Lago rientra nella storia dalla porta principale nel momento in cui si chiudono i cancelli alle spalle degli ospiti di Donald Trump che fa da anfitrione nel suo quartier generale. Perché un invito qui, se prima era per pochi, adesso lo è per il cerchio magico selezionato.

La Casa Bianca di Washington D.C. è un simbolo, la megavilla della Florida è l’epicentro da cui si irradiano segnali e direttive della politica a stelle e strisce negli Usa e in tutto il mondo. Telefono rosso e valigetta con i codici a parte, e a parte pure il ricordo della visita dell’FBI a caccia dei files desegretati sull’assassinio di John Kennedy nel buen retiro del suo successore Trump. Cambiano le strategie ed è cambiato tutto il sistema burocratico e formale, con l’impronta del tycoon che delle etichette si cura ben poco e delle formule della diplomazia ancor meno.

Ecco Mar-a-Lago trasformata in contenitore di fedelissimi e di idee, incubatrice di teorie e strategie trumpiane e muskiane, edificio che fa subito rima con ufficio: basta aprire le porte pure di oltre cinquanta camere da letto per ospiti selezionati, quelli che contano e che pesano nel circolo presidenziale, e quelli che vorrebbero entrarci anche dalla finestra. Non è un’assoluta novità, ma è nuova l’importanza assunta dall’alternativa ai luoghi ufficiali del potere, col Trump-bis che intende mostrare da subito decisionismo, tempismo, risolutezza, senza troppi fronzoli e senza troppo curarsi dell’etichetta. È il nuovo corso che ha qualcosa di già visto, riveduto e aggiornato. Dall’altra parte del globo Vladimir Putin non disdegnava incontri al vertice nella sua dacia (avvolta dal mistero). 

 

Il suo mito Stalin nella dacia le decisioni le prendeva da solo, perché il confronto non apparteneva al suo mondo di terrore, e infatti quando venne stroncato da un ictus, nessuno si azzardò a entrare nella sua camera per soccorrerlo, e amen. Adolf Hitler qualche volta sostituì la Cancelleria di Berlino con Berchtesgaden in Baviera. Mussolini nella residenza privata di Villa Torlonia non ha mai tenuto consigli, e neanche ne ha ascoltati dalla sanguigna moglie Rachele che il 24 luglio 1943 gli aveva detto di far arrestare i gerarchi del Gran Consiglio e il 25 di non andare da Vittorio Emanuele III, il quale infatti lo fece arrestare dai carabinieri, ma solo appena uscito dalla residenza, per salvare la faccia già perduta. All’acqua di rose i politici nostrani contemporanei nel fare e disfare con la propensione tutta italiana all’accomodamento, al compromesso, alla via sicura per capra e cavoli e al colpo basso.

 

Dalle alchimie politiche alle ricette fatte in casa, un’intesa tra contrari perché, come sosteneva Flaiano, gli italiani prima o poi riescono a mettersi d’accordo persino con il diavolo. Ecco nel 1997 Massimo D’Alema ai fornelli intento a preparare il risotto per addolcire l’arcigna immagine di “baffino di ferro” davanti alle telecamere di Porta a Porta, seguito dal patto dei patti, quello della crostata in casa di Gianni Letta, tra D’Alema, Franco Marini, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, per salvare la Commissione bilaterale.

Di patti tra i piatti, fuori dalle sedi deputate, quello delle sardine del 1994, con D’Alema (sempre lui), Umberto Bossi padrone di casa con frigo sguarnito e Rocco Buttiglione col sigaro per la trappola della caduta del primo governo di Silvio Berlusconi. Patti minori hanno visto la luce con meteore e seconde linee, ma di scarso impatto, Nazareno compreso: quello con Matteo Renzi, proverbiale nel tener fede alla parola. Una cucina non vale la terza camera di Bruno Vespa (dove Berlusconi firmò il contratto con gli italiani) e le case d’occasione o i ristoranti non valgono gli spazi salottieri Mar-a-Lago. Sempre machiavellici ma ruspanti gli italiani, sempre grandiosi ed esagerati questi americani.

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