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Emmanuel Macron ancora nel pantano, psicodramma in Francia: cosa sta accadendo all'Eliseo

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L’ennesimo rinvio, a conferma della situazione di grande incertezza politico-istituzionale in cui versa oggi la Francia. Era atteso ieri, in serata, l’annuncio del nuovo governo francese, ma il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, e il premier, François Bayrou, non hanno ancora trovato la quadra sui nomi dei ministri che formeranno il prossimo esecutivo, nonostante due lunghe conversazioni telefoniche e un faccia a faccia all’Eliseo nel tardo pomeriggio che lasciavano immaginare un annuncio entro fine giornata.

Secondo le informazioni di BfmTv, sono tre i nodi ancora da sciogliere prima di ufficializzare il governo. Il primo riguarda il nome del futuro inquilino del Quai d’Orsay, ossia del ministero degli Esteri, occupato nel precedente governo di Michel Barnier dal macronista Jean-Noël Barrot. Perché il favorito sembra essere l’ex ministro dell’Interno Gérald Darmanin, di formazione sarkozysta, figura divisiva e per molti poco consona al ruolo di capo della diplomazia dove è richiesto equilibrio. Darmanin, soprattutto, ha un pessimo rapporto con Marine Le Pen, leader del sovranismo francese e capogruppo dei deputati del Rassemblement national, da cui dipenderà, come per l’esecutivo Barnier, la sopravvivenza del prossimo governo.

Il secondo nodo, ancora più intricato del primo, riguarda il profilo che si insedierà al ministero dell’Economia: un posto altamente strategico in ragione dello stato in cui versano le finanze francesi e dei dibattiti sul bilancio 2025 che si preannunciano aspri (la scorsa settimana, l’Assemblea nazionale ha adottato una legge speciale per l’esercizio provvisorio del bilancio, che consentirà di riscuotere le tasse e pagare i dipendenti pubblici). Barnier è caduto sul disegno di legge sul finanziamento della Sécurité sociale, il generoso sistema di protezione sociale francese, sfiduciato da una mozione di censura votata congiuntamene dal Nuovo fronte popolare, la coalizione delle sinistre, e dal Rassemblement national. A Le Pen non erano bastate le concessioni fatte dall’ex capo negoziatore della Brexit per l’Ue, che aveva accantonato l’aumento delle tasse sulle bollette dell’elettricità, promesso un taglio all’assistenza sanitaria agli immigrati irregolari e annunciato che non sarebbe stato tagliato il rimborso dei medicinali nel 2025, come inizialmente previsto. La leader sovranista chiedeva anche l’indicizzazione all’inflazione di tutte le pensioni a partire dal primo gennaio, richiesta che Barnier non aveva accolto e di cui Bayrou dovrà tenere conto.

 

Il terzo punto di blocco riguarda la possibile entrata al governo di Xavier Bertrand, gollista e attuale presidente della Regione Hauts-de-France. Quest’ultimo potrebbe avere un ruolo di primo piano, forse proprio alla guida del ministero dell’Economia. Come Darmanin, Bertrand ha sempre usato parole dure contro il Rassemblement national, che considera un partito anti-repubblicano. Nell’estate del 2021, quando al primo turno delle regionali ottenne il doppio dell’allora candidato lepenista Sébastien Chenu, si presentò davanti ai giornalisti facendo queste dichiarazioni: «Abbiamo rotto le mascelle del Front national (vecchio nome del Rassemblement national, ndr), la loro demagogia, le loro proposte sterili, la loro intolleranza». E ancora: «Abbiamo ridato orgoglio agli abitanti degli Hauts-de-France».

Ex ministro del Lavoro di Sarkozy, Bertrand, durante la campagna per le regionali, aveva ribadito più volte che «il suo unico nemico è il Front national» e che tutti coloro che volevano contribuire alla diga repubblicana anti lepenismo erano i benvenuti. Le parole avevano suscitato l’indignazione di Le Pen e non sono state dimenticate. «Se Xavier Bertrand diventerà ministro dell’Economia, sarà un pessimo segnale», ha affermato ieri il deputato lepenista Thomas Ménagé durante la trasmissione Grand Jury Rtl-M6-Le Figaro-Public Sénat. Per l’attuale vicepresidente del Rassemblement national, Sébastien Chenu, la promozione di Bertrand a Bercy sarebbe «un insulto» al suo partito. L’entourage di Marine Le Pen, a BfmTv, si è spinto ancora più lontano, dichiarando che «la pressione per una censura sarà difficile da reggere» in caso di promozione dell’attuale presidente degli Hauts-de-France. Oltre a Darmanin, potrebbe tornare al governo la socialista Élisabeth Borne, capo dell’esecutivo nei primi due anni del secondo quinquennio Macron (lo è stata fino allo scorso gennaio). Il suo nome è citato per prendere le redini dell’Éducation nationale, il ministero dell’Istruzione.

 

Un altro ritorno possibile è quello di François Rebsamen, ex ministro del Lavoro durante la presidenza Hollande. Il 73enne, ex sindaco di Digione, ha dichiarato ieri alla Tribune di essere «pronto» a far parte della prossima squadra di ministri, evidenziando la sua «relazione di fiducia» con Bayrou. Tra i ministri uscenti, Sébastien Lecornu (Forze armate), Rachida Dati (Cultura) e Catherine Vautrin (Territori), tutti di orientamento gollista, dovrebbero mantenere i loro portafogli. Il Partito socialista, dal canto suo, ha già fatto sapere giovedì che non parteciperà al prossimo governo. L’impressione è che il Barnier I sarà un governo di alleanza tra macronisti e gollisti. Resta da capire se Le Pen avrà garanzie sufficienti per garantire l’appoggio esterno.

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