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L'uso del carbone ai massimi storici: altro che promesse degli ecofanatici...

Tommaso Lorenzini
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La Cop 26 sul clima di Glasgow 2021 si concluse con una «promessa solenne» uscita dalle bocche dei partecipanti, abbandonare l’utilizzo del carbone come combustibile fossile primario per far girare il pianeta. A quel tempo Greta Thunberg era all’apice della pervasività mediatica: eletta dal Time “Persona dell’anno 2019”, i potenti del mondo si mettevano in lista d’attesa per invitarla nei loro palazzi e farsi vomitare in faccia quanto fossero idioti nel non ascoltare lei e i suoi allarmi. «Il mondo finirà il 21 giugno 2023», sentenziava Greta, salvo poi incidentalmente aggiornare la previsione al «2030». E la «solenne promessa» sullo stop al carbone? Una balla: da allora, non solo l’uso non si è ridotto, ma è aumentato. A riprova di come gli slogan ideologici possano inquinare le menti più dei gas di scarico. La società di analisi delle materie prime Kpler ha appena diffuso uno studio per cui le esportazioni globali e l’uso del carbone termico raggiungeranno massimi storici nel 2024, nonostante l’implementazione record della capacità di generazione di energia rinnovabile in tutti i principali continenti.

 

 

LE ESPORTAZIONI
Secondo i dati di tracciamento dei trasporti marittimi, le esportazioni di carbone termico nei primi 11 mesi del 2024 sono aumentate di 9 milioni di tonnellate rispetto al 2023 e aumenteranno ulteriormente a dicembre, man mano che le aziende elettriche si riforniranno per l’inverno nell’emisfero settentrionale. Chi non solo non ha frenato, ma addirittura ha registrato nuove vette nella sua relazione amorosa con il carbone (80% delle emissioni da combustibili fossili, solo nel 2023 costruita una nuova centrale a carbone ogni settimana) è, manco a dirlo, la Cina (seguita a ruota dall’India, naturalmente), che ha chiuso novembre con una produzione record di circa 427,98 milioni di tonnellate, segnando un incremento del 3,9% rispetto al mese precedente. Nei primi undici mesi del 2024 la Cina ha prodotto circa 4,32 miliardi di tonnellate di carbone, con un aumento dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2023. La produzione di energia elettrica da combustibili fossili in Cina è aumentata dell’1,9% su base annua nei primi 11 mesi dell’anno, secondo i dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica cinese (NBS).

DATI DEGLI ANALISTI
I numeri indicano un leggero incremento per l’intero anno nonostante il rapido sviluppo di centrali elettriche a energia rinnovabile negli ultimi anni. Dati che gli analisti inseriscono in un trend preciso: il 52% degli esperti del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) e dell’International Society for Energy Transition Studies (ISETS) si aspetta che il consumo cinese del carbone raggiunga il picco entro il 2025, adirittura il 20% ha affermato che il picco si verificherà più avanti. Alla faccia delle politiche ecologiche demenziali come quelle imposte dall’Europa ad esempio sulle automobili elettriche, che stanno affossando il settore. Paradosso sempre più netto: da un lato la Cina sta affermando (imponendo?) la sua leadership green a livello globale nella produzione di pannelli solari e di “auto-e”; dall’altro, a causa del carbone è il Paese al mondo che inquina di più in termini assoluti. Ma va bene così, esperti e attivisti sono tutti contenti perché Pechino «ha messo in atto piani per controllare rigorosamente l’uso del combustibile fossile. Dal 2026 al 2030 mira a iniziare a ridurre gradualmente il carbone» (fonte Euronews) e intende renderlo a «basse emissioni». Non ci scommette remmo uno yuan...

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