Siria, Elliot Abrams: "Perché il vero sconfitto è Vladimir Putin"
«Il futuro della Siria, parafrasando la famosa frase che Winston Churchill usò parlando dell’Urss, “è un rebus incastonato in un enigma”. Ogni previsione rischia l’azzardo». Ne è decisamente convinto Elliott Abrams forte di una esperienza di lungo corso che lo ha portato a maneggiare per molti anni i più delicati e complessi dossier internazionali. Infatti, il professore, di formazione neocon, è stato consigliere di Ronald Reagan per otto anni ed assistente speciale di George W. Bush dal quale, dopo l’attacco alle Twin Towers, venne chiamato alla Casa Bianca per ricoprire il ruolo di direttore senior del Consiglio di sicurezza nazionale. Ora è membro del Council on Foreign Relations, uno dei più influenti think tank americani e insegna alla Georgetown University. Prosegue il nostro interlocutore: «Al momento l’unica certezza è la sconfitta di Vladimir Putin. Il numero uno del Cremlino ha fallito in pieno nella sua opera in difesa del regime di Bashar al-Assad. In ragione di ciò assistiamo a un drastico ridimensionamento del potere russo in Medio Oriente».
Quali potranno essere le conseguenze?
«Presumo che vi saranno ripercussioni in tutte le zone in cui si consumano conflitti. Dal Libano al Venezuela. Temo che il fallimento siriano possa portare Putin ad aumentare la pressione militare contro l’Ucraina. Penso che vadano interpretate in tal senso le recenti affermazioni del segretario generale della Nato, Mark Rutte, quando osserva “che l’Europa deve sviluppare una mentalità di guerra”».
Intanto, Tahirir al-Sham sembra che voglia inaugurare una stagione politica moderata in Siria. Al Jolani promette libere elezioni.
«Su che cosa abbia realmente intenzionato di fare HTS sul terreno del rispetto delle minoranze e dei loro diritti non darei nulla di scontato. Anche perché non è ancora chiaro qual è il rapporto fra Hts e i gruppi terroristici da cui proviene e in quale modo verranno raggiunti accordi con le altre fazioni islamiste radicali attive militarmente. Accanto a tutte queste incognite occorre ricordare la presenza della comunità curda al Nord-Est e gli interessi della Turchia di Erdogan che punta ad ottenere sia il rimpatrio dei rifugiati siriani presenti nel suo Paese che la neutralizzazione degli stessi curdi».
Alla luce di tali nuovi scenari, quale pensa che dovrebbe essere l’atteggiamento sia degli Stati Uniti che di Israele?
«L’obiettivo dovrebbe essere uno solo: fare il possibile per far sì che a Damasco si affermi un governo legittimo, senza dimenticare le numerose incognite, come dicevo, che si frappongono lungo un tale percorso».
Comunque sia occorre prendere atto che la situazione in Medio Oriente, soprattutto per Hezbollah e Iran, è cambiata non poco. In conseguenza di ciò alcuni osservatori si aspettano reazioni non controllabili.
«Non ci sono le condizioni né dal punto di vista delle forze su cui contare né in termini strettamente logistici. Hezbollah dopo i durissimi colpi ricevuti nelle settimane scorse dall’esercito israeliano ha solo una strada davanti ovvero quella di provare a ricostruire in Libano la propria organizzazione sia militare che politica e non penso che possa riuscirci prima di almeno un decennio. Nei prossimi mesi non potrà che accettare di svolgere un ruolo subalterno e consentire che venga scelto un Presidente. Per quel che riguarda l’Iran, che insieme alla Russia è l’altra sconfitta dalla capitolazione di Bashir al-Assad, ha perso la carta che ha utilizzato largamente in questi anni imperniata sulla guerra per procura contro Israele. La Siria rappresentava un corridoio sicuro per il transito delle armi da Teheran verso Hezbollah».
Israele ha bombardato nei giorni scorsi massicciamente le basi militari in Siria. Quali sono gli obiettivi di Netanyahu?
«Netanyahu sta sfruttando questo momento per distruggere il potere militare convenzionale della Siria. Non escludo altresì che gli israeliani stiano già parlando con Donald Trump e il suo staff, per ottenere il via libera da Washington al fine di colpire il progetto iraniano di costruzione delle armi atomiche».
Dimentica che Donald Trump ha detto chiaramente che “questa non è la nostra guerra”.
«Si riferiva esclusivamente alla Siria. Su come affrontare la questione iraniana penso che Trump abbia bisogno di tempo per soppesare tutti i pro e i contro prima di dare il disco verde a Netanyahu. A tal proposito, non vi è nulla di scontato».