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Retromarcia globale: anche il Regno Unito vieta i farmaci che bloccano la pubertà

Costanza Cavalli
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Dopo la Svezia, la Danimarca, la Finlandia, la Norvegia, la Francia, i Paesi Bassi e la Spagna, dove la somministrazione dei bloccanti della pubertà in casi di disforia di genere è stata limitata agli studi clinici o in circostanze eccezionali, anche il Regno Unito vieterà l’uso della triptorelina per i disforici minorenni. Il farmaco ritardai cambiamenti fisici della pubertà con l’obiettivo di dare il tempo, ai giovani “incerti”, di scegliere la loro identità di genere. La decisione anglosassone, presa “a tempo indeterminato”, prosegue nel solco tracciato dal precedente governo conservatore, che a maggio aveva interrotto temporaneamente le prescrizioni di routine.

Definita la più grande frode sanitaria dei nostri tempi, la cura per l’affermazione di genere è sempre meno la teoria dominante: a squarciare il velo sull’inattendibilità degli studi che per anni hanno orientato le terapie adottate dai sistemi sanitari, compreso quello italiano, è stato il rapporto di Hilary Cass. Nel 2020, la pediatra era stata messa a capo di una commissione d’inchiesta sui trattamenti del Tavistock Center di Londra, pioneristica clinica per minori transgender. Dopo quattro anni di studi, Cass ha concluso che la medicina di genere stava operando su «fondamenta traballanti», che mancavano «dati coerenti» sugli effetti del farmaco e che nulla si sapeva sui rischi a lungo termine delle procedure. Per questo, concludeva, «dovrebbero essere prescritti solo a seguito di una valutazione multidisciplinare e all’interno di un protocollo di ricerca».

 

Il Servizio sanitario inglese, chiusa Tavistock, ha aperto due nuove cliniche di genere per i minori. Il nuovo corso prevede team di specialisti, comitati etici, diagnosi mediche psichiatriche per autismo, depressione, disturbi alimentari. L’associazione Generazione D, che riunisce i genitori di figli con disforia di genere, confida che anche in Italia venga presa in considerazione «l’esperienza acquisita negli altri Paesi, superando i muri di certezza proposti dalle istituzioni sanitarie, che continuano a minimizzare le conseguenze sull’uso dei farmaci in questione». Il modello britannico «fa riflettere sulla opportunità di tracciare con cura le somministrazioni per analizzare con metodo l’incidenza delle circostanze rilevanti e valutare l’efficacia a lungo termine dei trattamenti proposti. Nel nostro Paese non ci sono invece dati disponibili, come ha lamentato lo stesso Ministro della Salute in occasione di audizioni parlamentari».

Il sito Gay.it ha scritto di una decisione «tranchant» del governo labour (non è dato sapere come si possa definire “tranchant” una scelta fatta dopo quattro anni di studi) e paventava «l’ombra della lobby farmaceutica» perché il farmaco è off label, ovvero utilizzato al di fuori delle indicazioni consolidate (tumori a prostata e mammella, per esempio). Ma che una terapia farmacologica costi di più di un intero team di endocrinologi, pediatri, psicoterapeuti che dovranno seguire un paziente per anni è inverosimile. Il tema resta uno soltanto: in Italia si somministrano farmaci, anche a dei bambini, per una non-patologia. «Non riesco a pensare a un’altra area dell’assistenza pediatrica in cui diamo ai giovani trattamenti potenzialmente irreversibili e non abbiamo idea di cosa accadrà loro in età adulta», aveva commentato Cass.

 

 

 

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