Putin è all'angolo: ora può solo negoziare
Eccolo, il negoziatore. Il Trump vero, in carne, ossa e piglio realista di chi è sempre in trattativa, quasi sempre da posizione di forza. Così diverso dalla sua caricatura reiterata all’infinito dai nemici sinistri, e purtroppo anche da qualche amico (mal)destro: il Trump complice, se non esecutore, del Cremlino, il liquidatore dell’impero americano. Questo Trump, quello vero, appena intuisce che il pertugio della cronaca può allargarsi a tornante della storia ci s’infila con studiatissima semplificazione. Intervista al New York Post, virgolettati chiave che sono altrettanti affondi sulla scacchiera. «Zelensky vuole fare la pace, è una novità. Lui pensa che sia giunto il momento». Ma questo è il già acquisito, lo scacco al re (o meglio allo Zar) è a ruota: «E anche Putin dovrebbe pensare che sia giunto il momento, perché ha perso. Quando perdi 700mila persone, è ora».
Siamo alla sovrapposizione lessicale degli scenari, che la tempistica rende un’allusione strategica molto più che allusiva. La Russia sta “perdendo” in Ucraina perché il livello delle perdite è già oltre il sostenibile, dice The Donald, nettamente il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma accostare in questi giorni il nome “Putin” al verbo “perdere” significa anzitutto parlare di Siria, là dove il protetto storico Assad è crollato in assenza del grande protettore, l’Orso che non ha abbastanza artigli. E Trump lo esplicita chiaramente, riprendendo quanto postato sul social The Truth: «Quello che è successo lì e che la Russia non è stata in grado di farsi avanti perché erano tutti impantanati in questa orribile guerra che non avrebbe mai dovuto accadere in Ucraina».
Siria, ecco cosa aveva previsto Alessandro Orsini: lo sfondone sulle pagine del "Fatto"
Lo Zar è nudo, caro Vladimir («lo conosco bene», aveva premesso nei giorni scorsi, e qualche espertone l’aveva scambiato per un segnale d’amicizia): hai una capacità di proiezione limitata, e il mondo lo sa. Hai dovuto assistere alla disfatta di quello che per molti versi, almeno da quando l’aviazione russa aveva ribaltato a suo favore le sorti della guerra civile nel 2015, era un regime fantoccio di Mosca. Di più: stai vedendo gran parte della Siria, Damasco in primis, passare sotto il controllo di tagliagole coranici controllati, direttamente o indirettamente, da un tuo grande nemico, il Sultano Erdogan che vagheggia un Impero Ottomano 5.0. La restante parte del Paese è in mano a milizie curdo-arabe che hanno come referente, seppur altalenante, noi, lo Zio Sam (e io non voglio impegnarmi nel pantano, «non è la nostra lotta», te l’ho postato proprio perché sono un trattavista).
È tutta la tua filiera mediorientale di alleanze, o di vassallaggi, che si sta sfaldando. L’Iran degli ayatollah, il perno di questo sistema, è sempre più nell’angolo, ci ha pensato Israele a tagliare tutti i tentacoli della piovra khomeinista: Hamas è ormai un cadavere pigiato in qualche tunnel di Gaza, Hezbollah è talmente disarticolata che nemmeno lei è riuscita a correre in aiuto di Assad, la Siria è perduta. Probabilmente, nei fatti lo è anche la base navale di Tartus, il tuo unico, fondamentale sbocco sul Mediterraneo: per mantenerlo sei appeso a un’umiliante concessione dei ribelli jihadisti. Questa, sostanzialmente, è la fotografia globale sotto lo scatto superficiale del Donbass (peraltro non ancora interamente conquistato dopo quasi 3 annidi guerra) che Trump gira a Putin, quando gli dice «è ora, hai perso».
È ora di sederti al tavolo, Zelensky è ampiamente disponibile, e già questa è una garanzia inedita rispetto alla stagione bideniana, che devi tutta a me. Il suo corollario immediato, visto che il leader ucraino «vuole la pace», è che sì, certo, è ragionevole che tu ottenga concessioni territoriali rilevanti, anche se non puoi stravincere, nessuno può farlo, perché siamo in piena negoziazione. Ma sei in arretramento totale in Medio Oriente, rischi seriamente di perdere la presa sul Mediteraneo, vieni al tavolo, ottieni il massimo possibile ed esci dalla trappola della guerra infinita. Il negoziato è iniziato, il «nessun dubbio che vinceremo» recapitato da Putin è poco più che una frase di rito, senz’altro ha ancora molte mosse potenziali per divincolarsi dallo scacco. Ma non può far saltare la scacchiera, come non ha potuto tenere Assad al potere.