Accusano Israele e non vedono che sono i fanatici islamici a far esplodere il Medio Oriente
Premessa numero uno sulla guerra in Siria. Nell’orrido confronto tra i jihadisti antigovernativi e quel che resta del regime di Assad, torna buona la celebre rasoiata attribuita a Henry Kissinger ai tempi del conflitto tra Iran e Iraq: «È un peccato che non possano perdere entrambe le parti».
Premessa numero due. Sono spariti – qui in Italia – i manifestanti, che sulla Siria non organizzano piazzate né gridano slogan né srotolano striscioni. E come mai? Perché alcuni tifano per Assad (e soprattutto per la casa madre iraniana) e altri per Erdogan. Ma soprattutto non c’è in questo caso il mastice che li terrebbe tutti magicamente uniti: la possibilità di incolpare Israele. E del resto si sa: la vita di un arabo o un musulmano, qui in Europa, vale politicamente e mediaticamente solo se è spezzata da una pallottola israeliana. In mancanza di questa condizione, cioè in mancanza della possibilità di criminalizzare Gerusalemme, c’è silenzio e disinteresse.
Premessa numero tre. Sono regolarmente le autocrazie o i gruppi fondamentalisti a scatenare le ostilità: in Libano è stato Hezbollah, così come in Siria sono stati i jihadisti fomentati dalla Turchia e dalle mire espansionistiche di Erdogan. Eppure i nostri “esperti”, i commentatori che spiegano tutto (dopo) senza aver compreso granché (prima), si affannano sempre a cercare e trovare responsabilità occidentali. Tutto è colpa nostra, ovviamente (...)
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