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L'omicidio del manager delle assicurazioni e l'America che vuole uccidere il profitto

Giovanni Sallusti
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«Deny, defend, depose». Negare, difendere, deporre. Sono le tre parole trovate incise sui proiettili che hanno squarciato il petto di Brian Thompson, Ceo del colosso UnitedHealthcare (la più grande compagnia di assicurazioni sanitarie degli Stati Uniti), a fare già del suo omicidio racconto, romanzo, trasposizione letteraria. È l’assassino in primis, che ha voluto disincarnare la vittima e fare di quel cadavere sul selciato di Manhattan un messaggio, dell’indagine un (tetro) gioco semantico e concettuale. Qui il rimando è più all’Enigmista dell’ultimo The Batman che ai tanti sparatori folli delle strade d’America, con un’aggiuntiva torsione propagandistica. Sì, perché l’interpretazione maggioritaria è che quelle tre parole si riferiscano a un libro pubblicato nel 2010 dal professor Jay M. Feinman, esperto di diritto assicurativo: Ritardare, negare, difendere: perché le compagnie non pagano i risarcimenti e cosa si può fare.
È forse un tipo umano che si è voluto colpire, Brian Thompson aveva solo il torto contingente di rappresentarne un esemplare. Il top manager delle assicurazioni, perdipiù ramo sanitario: la quintessenza del capitalismo rapace e inumano, secondo un’etica e un’estetica anzitutto a stelle e strisce, anzitutto allestite in casa contro il proprio modello di vita, secondo quel tratto tipico della contemporaneità che per Sir Roger Scruton era l’“oicofobia”, la paura e l’odio di sé.

Prendete un capolavoro dell’industria culturale hollywoodiana, L’uomo della pioggia di Francis Ford Coppola, che ha messo su pellicola l’opera di un narratore principe come John Grisham. Riguardatevi la glacialità ontologica del grande John Voight nei panni dell’avvocato di una mega-società che non vuole riconoscere l’indennità a un bambino malato di leucemia. «Non c’è niente di più eccitante che inchiodare una compagnia di assicurazioni», dice il praticante sul fronte avverso interpretato da Danny De Vito. È un topos perenne della rappresentazione che l’America fa di se stessa, il Male radicato nel profitto contro il Bene idealistico, che senza il primo non può esistere. È un esorcismo collettivo, quello che la figura dell’assicuratore garantisce alla coscienza americana, un esorcismo che può prendere la piega anche palesemente ideologica di Sicko, docufilm diretto da Michael Moore che è un ininterrotto atto d’accusa contro il sistema sanitario. Un esorcismo che nei contorcimenti di un’anima deteriorata può assumere le vesti di un omicidio?

Le prime fotografie diffuse del giovane killer, sorriso incontrollato che spunta dal volto incappucciato, evocano qualcosa del genere. La moglie della vittima, del resto, ha svelato a Nbc News che «c’erano state delle minacce», fondamentalmente per «una mancanza di copertura sanitaria». La stessa capa della polizia di New York, Jessica Tisch, ha affermato che «è stato un attacco mirato». Forse, mirato anzitutto narrativamente, se l’avverbio non degenerasse a parolaccia di fronte a un’esistenza interrotta. Quel che è certo, è che ultimamente la violenza politica negli States si è segnalata anzitutto come la via battuta dall’estremismo Antifa, anti-polizia, radicale, “antagonista” diremmo con categorie tarate sulla sinistra europea.
Non è politica, che sarebbe riduttivo, è immaginario, amplificato dal trionfo di Trump indigesto per i contestatori del capitalismo senza complessi. Forse è una delle tante volte in cui, dentro il romanzo americano, provano a sparare al capitalismo.

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