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Onu, lo strano caso di Francesca Albanese: per fare carriera bisogna odiare Israele

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Lo strabismo sistematico, cronico, probabilmente inguaribile delle istituzioni internazionali rispetto alla guerra Israele-Hamas (dire conflitto israelo-palestinese è già accettare la narrazione strabica) non è una tesi filosionista, è la realtà della vita e delle persone. Prendiamo due storie (troppo) parallele. La prima è quella dell’ormai onnipresente Francesca Albanese, che ha scalato la filiera degli incarichi Onu e mantiene la sua targhetta di relatrice speciale sui territori palestinesi occupati (non si capisce perché debba esistere questa particolare figura e non, ad esempio, un relatore sull’oppressione femminile nella Repubblica Islamica dell’Iran, o sui campi di concentramento nordcoreani) parlando un giorno sì e l’altro pure del “genocidio” praticato dallo Stato degli ebrei, senza nemmeno accorgersi del cortocircuito storico e logico dell’espressione. Il secondo volto è quello della keniota Alice Wairimu Nderitu, consulente speciale per la prevenzione del genocidio delle Nazioni Unite. (...)

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