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Con gli europei in Ucraina reazione a catena vicina

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Marco Patricelli
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L’invio di un contingente di terra franco-britannico in Ucraina? Certo, certissimo, anzi probabile. Sia stato un ballon d’essai, fatto filtrare ad arte per sondare il terreno, o un’indiscrezione su un’ipotesi operativa messa sul tavolo a Londra e Parigi, la notizia che ha attraversato la Manica e ha trovato spazio sulle colonne di Le Monde è stata sicuramente un inquietante fulmine nella notte buia e tempestosa della guerra russo-ucraina. A stemperare il clima surriscaldato è arrivato altrettanto fulmineo il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, negando che il Regno Unito abbia approntato piani per l’invio di «truppe in Ucraina in questo momento», ma confermando il sostegno militare a Kiev e l’addestramento agli ucraini. E sempre al di sotto delle nubi addensate sull’Isola, metaforiche e non, sarebbero stati avvistati droni in sorvolo sulle basi statunitensi, come denunciano fonti americane.

Tanto per mantenere alto lo stato d’allerta nello scenario si inserisce pure un servizio della Bbc che ha intervistato un sedicente ufficiale russo disertore appartenente a un’unità speciale di guerra nucleare in una base ovviamente segretissima, il quale ha dichiarato che le forze di Putin erano pronte all’utilizzo di armi atomiche sin dal giorno stesso dell’attacco all’Ucraina. La veridicità e la verosimiglianza di quanto asserito non è comprovabile, ma che Putin abbia agitato lo spauracchio nucleare in momenti topici del conflitto è un dato di fatto.

 

 

POSSESSO E DIRITTO
Adesso che si parla di pace senza scoprire le carte, si procede al buio, al controbuio e col bluff pur di alzare la posta sul tavolo delle trattative. Ormai solo gli utopisti possono pensare a una soluzione diplomatica che prescinda dal principio dell’uti possidetis, ovvero del controllo del territorio al momento della tregua d’armi. Quel momento diviene lo spartiacque delle condizioni per cessare le ostilità. Da una parte e dall’altra, dunque, operazioni sul campo e propaganda muovono i fili e vedono con quali conseguenze, considerato pure che Putin la Crimea l’ha già annessa e che nel Donbass strappato con la forza militare ha fatto svolgere referendum con lo stesso risultato plebiscitario. La riconquista ucraina è una pia illusione, così come stanno le cose, anche perché il possesso vale nove decimi del diritto. Un contingente di terra franco-britannico è una mossa da partita a scacchi tanto per animare la scacchiera, ma a nessuno sfugge l’ingestibilità della reazione a catena che andrebbe a provocare.


La bilancia euroatlantica oscilla non poco dall’elezione di Donald Trump che non solo ha promesso di far terminare a breve quel conflitto, ma ha un’idea tutt’altro che remota su come deve funzionare la Nato e su chi la debba sostenere economicamente. La Polonia, Paese confinante con l’Ucraina, baluardo orientale della Nato e sulla carta potenza militare continentale, ha un atteggiamento prudente sulle ipotesi sul tappeto. Tra poco si entrerà nel vivo della campagna elettorale presidenziale, e proprio un paio di giorni fa il PiS di Kaczynski ha scelto come suo candidato, da indipendente, lo storico Karol Nawrocki, presidente dell’Istituto nazionale per la memoria, da contrapporre aRafał Kazimierz Trzaskowski, presidente di Varsavia. I venti di guerra non soffiano sulle vele elettorali e un’escalation è quantomai impopolare, nonostante la Polonia sia stata sempre in prima fila e quasi sempre inascoltata nel mettere in guardia dal revanscismo russo e dalle mire continentali di Putin.

ALLARGAMENTO
Il brivido sulla schiena europea è un picco di febbre per Volodymyr Zelenskyj, già impegnato nel tamponare l’arrivo di truppe nordcoreane al fianco dell’esercito di Putin, tant’è che la stampa ucraina (e pure quella cinese in lingua inglese) ha annunciato per oggi l’arrivo a Seul del ministro della Difesa Rustem Umerov per chiedere assistenza militare e aiuti più massicci con la fornitura di missili antiaerei e sistemi di artiglieria. Uno o due gradini più sudi quanto la Corea del Sud ha finora garantito, con la tara delle limitazioni d’impiego dalle quali gli ucraini smaniano di smarcarsi. Per Zelenskyj l’ipotetico coinvolgimento diretto di truppe europee o Nato equivarrebbe a sparigliare del tutto le carte del conflitto, che però sforerebbe la dimensione bidimensionale. Il generale Roberto Vannacci, eurodeputato della Lega, ha messo le mani avanti affermando che «l’idea di un intervento armato europeo, avanzata per sostenere l’Ucraina nell’uso di armi a lungo raggio, appare non solo avventata, ma anche suicida. In un momento in cui l’insediamento del nuovo presidente americano Donald Trump promette una rapida risoluzione del conflitto attraverso negoziati diretti e il raggiungimento di un cessate il fuoco, accelerare verso un maggiore coinvolgimento militare non può che essere interpretato come una mossa miope e controproducente». A conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. O, forse, che è una cosa troppo seria per farla fare ai generali.

 

 

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