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Calin Georgescu, uno tsunami in Romania: chi è l'uomo che terrorizza l'Unione europea

Maurizio Stefanini
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Tsunami politico alle presidenziali in Romania, con il boom di un outsider senza partito e filo russo e il crollo di due sigle storiche. Il 22,94% è andato infatti a Calin Georgescu: un agronomo classe 1962 che dopo avere lavorato a lungo soprattutto in varie strutture dell’Onu con cariche dal sapore ambientalista, da presidente del Centro europeo di ricerca del Club di Roma in Svizzera a direttore esecutivo dell’Istituto dell’indice di sostenibilità globale delle Nazioni Unite a Ginevra, passando per consigliere del ministro dell’Ambiente e segretario generale del ministero dell’Ambiente, nel 2020 fece irruzione in politica come candidato a primo ministro perla destra anti-europeista della Alleanza per l'Unione dei Romeni (Aur), che fa campagna con cartelli in cui si inneggia all’eroe nazionale Dracula.

LA SVOLTA
Poi si è messo in proprio, con una campagna in cui ha sparato contro Ue e Nato; descritto l’installazione dello scudo di difesa missilistica di Deveselu come una «vergogna della diplomazia»; definito Putin «un uomo che ama il suo Paese»; ripetuto che l’Ucraina è «uno Stato inventato»; esaltato i leader del fascismo romeno, dal leader della Guardia di Ferro Corneliu Zelea Codreanu al maresciallo Antonescu; promesso un’ampia autarchia attraverso appoggi agli agricoltori, promozione di piani per l’energia e la produzione alimentare e la riduzione delle importazioni. Al ballottaggio dell’8 dicembre sfiderà Elena Lascon: ex-giornalista, sindaco della cittadina di Campulung ed esponente di Unione Salvate la Romania, che al Parlamento Europeo fa capo ai liberali di Renew Europe, e col 19,18% ha prevalso per 2.740 voti sul primo ministro, il socialdemocratico Marcel Ciolacu, al 19,15.

Quarto con il 13,86% è arrivato George Simion, candidato per la Aur, e grande sostenitore della riunificazione tra Romania e Moldavia. Solo l’8,79% è andato al presidente del Senato Nicolae Ciuca ,del Partito Nazional Liberale che aderisce al Ppe e a cui apparteneva il presidente uscente Klaus Iohannis. Il 6,32% all’ex-vicesegretario generale della Nato Mircea Geoan, che correva come indipendente. Il 4,5% va al vice-primo ministro Hunor Kelemen, esponente del partito della minoranza etnica ungherese. Il 3,5% a un altro indipendente. Insomma, un voto estremamente frastagliato, in cui spicca appunto il naufragio dei due grandi nazional-liberali e socialdemocratici. Ma soprattutto il botto dei sondaggisti, che davano Georgescu al massimo al 5,4%, Ciolacu in testa tra il 24 e il 29%, e come suoi possibili avversari Simion col 16-21 favorito sulla Lasconi tra il 12 e il 17. Sembra che dopo una partenza lenta, che aveva comunque già sorpreso gli opinionisti politici, Georgescu avrebbe fatto il pieno di voti fra i romeni della diaspora, asciugando anche i consensi di Simion.

 

 

Ha condotto una campagna virale su TikTok incentrata sulla riduzione del fabbisogno di cibo ed energia della Romania e sulla fine degli aiuti all’Ucraina. «Stasera, il popolo rumeno ha gridato per la pace. E hanno urlato molto forte, estremamente forte», «Siamo forti e coraggiosi, molti di noi hanno votato e ancora di più lo faranno al secondo turno». «La gente ha gridato per la pace», è ora il suo commento. Lasconi, ex corrispondente di guerra e conduttrice di notiziari televisivi, crede invece nell’aumento della spesa per la difesa e nell’aiuto all’Ucraina. Il ballottaggio sarà il primo da tre decenni senza un candidato socialdemocratico. Ovviamente, c’è stato anche un voto di opposizione contro la grande coalizione tra i due avversari storici socialdemocratici e nazional-liberali, più il partito ungherese. Il presidente della Romania ha un ruolo semi-esecutivo: con significativi poteri decisionali sulla sicurezza nazionale, la politica estera e le nomine giudiziarie, ma quello che conta è soprattutto il primo ministro.

LE ELEZIONI
Prima del ballottaggio, il primo dicembre si terranno però le politiche. I sondaggi davano in testa i socialdemocratici con il 27-38% contro il 16 dei nazional-liberali, il 15-23 dell’Aur, il 12-20 di Salvate la Romania. Ma a questo punto non si fida più nessuno. La Romania, che condivide un confine di 650 km con l’Ucraina, è vista dagli alleati occidentali come un punto strategico chiave. Ospita infatti una base militare della Nato, fornisce una batteria di difesa aerea Patriot e offre una via di transito vitale per milioni di tonnellate di grano ucraino. Le elezioni si sono concentrate principalmente sul costo della vita in aumento in Romania: il Paese ha la quota maggiore di persone a rischio povertà nell’Ue, nonché il tasso di inflazione più alto del blocco e il più grande deficit di bilancio.

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