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Usa, il Rinascimento cattolico dietro il voto

Antonio Socci
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Poco prima delle elezioni americane è uscito il libro dello storico francese Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente che fa una spietata analisi dell’autodistruzione dell’occidente euroamericano. Vi si trovano alcune ragioni del naufragio elettorale dei Dem sulla linea Biden-Harris-Obama-Clinton (e della crisi della Ue). Però, il 5 novembre, il voto ha ribaltato quella linea suicida. Il New York Times ha titolato «L’America di Trump: la vittoria cambia il senso che la nazione ha di se stessa».

In effetti gli Stati Uniti hanno chiesto di ritrovare la propria identità. Ma con quali energie culturali e morali si potrà realizzare una svolta forte come quella di Ronald Reagan che chiuse il decennio della contestazione e del Vietnam? Il retroterra di Reagan era il fondamentalismo evangelico, che – sia pure nella forma nuova dei telepredicatori - era in continuità con la cultura Wasp - White Anglo-Saxon Protestant – che dominava da sempre la storia americana. Oggi però Todd segnala «la scomparsa dei Wasp» come classe dirigente. A suo avviso «il protestantesimo, il quale aveva sostenuto in larga misura la forza economica dell’Occidente, è ormai morto» e questo «fenomeno storico cruciale» determina, a suo dire, la crisi degli Usa: «Benché mantenga l’apparato militare di un impero, l’America non ha più al suo centro una cultura portatrice di discernimento».

In realtà l’egemonia dell’establishment Wasp è svanita, ma gli evangelici no (gli Stati Uniti restano il Paese con il più alto numero di cristiani nel mondo, uno dei più religiosi). Tuttavia dopo gli anni della globalizzazione, dei neocon e delle presidenze liberal Clinton-Obama-Biden, con il dilagare dell’ideologia woke, la tradizionale religiosità protestante è sotto tono, sulla difensiva. C’è però un fenomeno nuovo: un ruolo determinante è stato giocato, il 5 novembre, dal voto cattolico, andato a Trump per il 56 per cento e alla Harris per il 41. Del resto la Chiesa Cattolica – con i suoi 72 milioni di fedeli – è la prima confessione cristiana degli Stati Uniti (solo sommate le diverse denominazioni protestanti diventano maggioritarie). Che i cattolici sarebbero stati decisivi era prevedibile. Su queste colonne, il 25 agosto, descrissi la crescita e la vitalità della Chiesa americana e citai un articolo di Matthew Schmitz sul New York Times (titolo: «I convertiti cattolici come JD Vance stanno rimodellando la politica repubblicana») in cui si sosteneva che «il cattolicesimo mantiene una sorprendente risonanza nella vita americana, soprattutto in certi circoli d’élite. È emerso come il gruppo religioso più grande e forse più vivace in molte delle migliori università. Rivendica come seguaci sei dei nove giudici della Corte Suprema. Continua a conquistare convertiti di alto profilo e il suo insegnamento sociale esercita un’influenza (spesso non riconosciuta) sui dibattiti pubblici, ispirando pensatori politici che cercano di sfidare sia la sinistra culturale che la destra laissez-faire».

 

 

 

IL PESO DI VANCE
L’attenzione di Trump verso i cattolici durante la campagna elettorale – come pure la scelta di Vance (che non è solo un appassionato lettore di Tolkien, ma anche di S. Agostino e S. Tommaso) – fa pensare che proprio loro potrebbero dare solidità alla svolta culturale che il Paese si attende. Trump vuole portare l’America fuori dall’incubo woke e dagli errori neocon, restituendole la sua identità e il patrimonio della cultura cattolica sarebbe un grande arricchimento. Su The Catholic Thing, John M. Grondelski ha scritto: «Negli anni ’80, Padre Richard John Neuhaus sperava che, con il declino del mainstream protestante, l’America potesse avere un “momento cattolico”, un rinnovamento nazionale dei valori a cui teniamo. Per varie ragioni, ciò non accadde allora». Grondelski ritiene che si «stia aprendo una finestra ora» per una seconda possibilità.

La battaglia è chiara. L’ideologia woke, oggi egemone, aggiunge l’autore, ha diviso l’Occidente dalla sua tradizione umanistica, simboleggiata da Atene, Gerusalemme e Roma, per strapparne le radici che lo resero grande. È cosa nota almeno da quanto un maestro della cultura americana come Harold Bloom, proprio in polemica con la controcultura che dilagava nei campus americani, pubblicò nel 1994 Il canone occidentale. Il voto del 5 novembre rappresenta la ribellione dell’America del “buon senso” (come dice Trump) contro i deliri dell’ideologia e la dittatura del relativismo. Ora, oltre ai cambiamenti politici, occorre ritrovare le radici umanistiche che sono l’identità vera dell’Occidente (Bloom indicava i suoi vertici letterari in Shakespeare e Dante).

 

 

 

RITORNO AI CLASSICI
Sempre su The Catholic Thing, Randall Smith (in un articolo intitolato «Un Rinascimento Cattolico») scrive: «C’è una rinascita nell’arte, nell’architettura, nella poesia e nella letteratura in questo paese. Le scuole primarie e secondarie stanno di nuovo offrendo latino e greco e insegnando i classici della letteratura occidentale. E chi c’è all’avanguardia di questa rivoluzione controculturale “classica”? I cattolici». Sono «per lo più laici, ma anche alcuni preti, che hanno deciso che la verità, la bontà e la bellezza dovrebbero avere di nuovo un posto di rilievo nella nostra cultura e nell’educazione dei nostri giovani. Per qualche ragione, oggi “classico” è quasi sempre associato a “cattolico”».

Smith ricorda che «quando l’Impero romano crollò in Occidente» furono i monaci a salvare «i testi classici dell’antica Grecia e di Roma» nella speranza «che un giorno l’Europa si sarebbe svegliata dal suo sonno barbarico». Così, grazie alla loro opera, fiorirono più tardi la Scolastica, l’Umanesimo e il Rinascimento. Oggi i cattolici ripropongono «la cultura classica» e quella cristiana – combattute dall’ideologia woke- per la rinascita dell’America e dell’identità occidentale. E la cosa ci riguarda.

 

 

 

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