Elise Stefanik, il "vaffa" di Donald Trump all'Onu: chi è questa donna
Quanti, tra i filo-palestinesi americani e di mezzo mondo, speravano che l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca potesse in qualche modo alterare gli equilibri esistenti tra Washington e Gerusalemme in una direzione favorevole ai palestinesi, ha ricevuto uno sberlone quando domenica sera il 47° presidente degli Stati Uniti ha scelto la deputata Elise Stefanik quale prossima ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu.
Certo, Trump ha promesso in campagna elettorale che metterà fine al conflitto in corso in Medio Oriente. Ma ciò non passerà attraverso concessioni politiche e territoriali ai nemici dell’unico Stato democratico esistente in Medio Oriente. O, almeno, così lascia intendere la nomina all'Onu della Stefanik. La 40enne deputata dello Stato di New York, laureata ad Harvard ed eletta al Congresso nel 2015 e poi ancora nel 2021, è stata tra le figure politiche più in vista in occasione dei disordini e delle occupazioni che hanno interessato centinaia di università americane in conseguenza del conflitto tra Israele e i terroristi di Hamas nella Striscia di Gaza.
In qualità di membro della Commissione della Camera sull'Educazione e il Lavoro, si è distinta nelle udienze in cui sono stati ascoltati tra gli altri i presidenti di Harvard, del Mite dell'Università della Pennsylvania. È stata lei a chiedere durante le udienze se «incitare al genocidio degli ebrei» costituisse una forma di violenza o di bullismo all'interno dei campus. Quando il rifiuto dei tre di rispondere sì o no scatenò polemiche tanto roventi da indurre la presidente di UPenn Liz Magill a dimettersi, la Stefanik su X scrisse «fuori una. Ne restano due». Poco dopo, anche la numero uno di Harvard Claudine Gay si dimise. Il suo ruolo all'Onu sarà utile non solo in chiave di sostegno a Israele, ma anche di condanna nei confronti di Iran, Hamas e Hezbollah. E di guardiana dell'operato dell’Unrwa (l’Agenzia Onu che gestisce gli aiuti ai palestinesi) che ha più volte violato quel criterio di imparzialità che è richiesto sul campo a ogni emanazione delle Nazioni Unite.
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Un’altra nomina pesante è quella decisa da Trump in tema di immigrazione. Il presidente eletto, infatti, ha scelto Thomas Homan come figura-chiave della politica sull’immigrazione della sua amministrazione, descrivendolo su Truth Social come «il miglior guardiano delle frontiere» e come futuro «responsabile del programma di deportazione dei clandestini verso i loro Paesi d’origine».
Già agente di polizia e poi della polizia di frontiera, Homan vanta decenni di esperienza del fenomeno immigratorio e nel 2017 fu nominato dalla prima amministrazione Trump direttore esecutivo del controllo sull'immigrazione e sulle dogane. Le due nomine di Stefanik e Homan fanno seguito a quella di Susie Wiles a Capo dello Staff della Casa Bianca, annunciata giovedì scorso. E ieri la Cnn ha riferito che il tycoon avrebbe scelto come vice della Wiles Stephen Miller il suo principale consigliere per l’immigrazione, posizionando così un falco sull’immigrazione su campo e uno anche all’interno della Casa Bianca.
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Mentre la costruzione della squadra che lo affiancherà nei prossimi quattro anni di governo del Paese procede a ritmi serrati, il presidente eletto potrebbe ricevere notizie positive sul fronte giustizia già oggi, quando è attesa la decisione del giudice di New York Juan Merchan che potrebbe annullare la condanna penale che lo scorso maggio una giuria gli ha inflitto per i reati finanziari collegati alla vicenda Stormy Daniels.