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Donald Trump, nella sua squadra spunta il falco anti-Cina: tutti i nomi

Dario Mazzocchi
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Il cerimoniale della politica statunitense prevede che il 20 gennaio dell’anno successivo alle elezioni presidenziali cada l’Inauguration Day, quando il nuovo Commander in Chief giura lealtà alla costituzione e assume ufficialmente l’incarico. Così farà Donald Trump per il suo ritorno nello Studio ovale: nel mentre, metterà mano al nuovo governo e unirà i tasselli per attuare il programma scelto della maggioranza degli elettori. Chi saranno i prescelti, chiamati a rendere di nuovo grande l’America? I nomi circolano da tempo, per alcuni ruoli la rosa è ormai piuttosto ristretta. A partire dalla carica di Segretario di stato, che rappresenta il Paese nelle relazioni internazionali ed è uno dei consulenti a più stretto contatto con il presidente. Nella lista compaiono due nomi pesanti: Mike Pompeo e Marco Rubio. Entrambi hanno lasciato intendere che sono a piena disposizione di Trump. Il primo può contare sull’aver già ricoperto il ruolo tra il 2018 e il 2020: non sono propriamente in linea sull’approccio più isolazionista verso l’Europa, ma tra i due c’è stima.

Quanto a Rubio, ex stella nascente del Partito repubblicano oscurata dal ciclone Donald, fino ad ora si è mosso su due piani: a fianco dell’Ucraina, ma anche per una negoziazione con Mosca. La sua nomina – che da prassi richiede il placet del Senato, come accade per qualsiasi ministero – potrebbe ottenere qualche voto democratico, rendendo la sua figura bipartisan. Il grande punto interrogativo è se sia convincente agli occhi di Trump. Tra i papabili rientra Ric Grenell, MAGA fino al midollo. È stato ambasciatore in Germania dal 2018 al 202, dove si è fatto molti nemici per il suo approccio schierato e poco diplomatico. Non piaceva ai socialdemocratici e non era persona grata nei corridoi della Cancelleria guidata da Angela Merkel: il tipo che non troverebbe strette di mano sincere nell’Ue. Qualcuno scommette infine su Bill Hagerty, che ha fatto parte dell’amministrazione di George W. Bush: è considerato un’aquila nei rapporti con la Cina.

Un altro nome molto quotato è quello di Vivek Ramaswamy. Famiglia di origine indiane, arriva dal mondo imprenditoriale, ha sfidato Trump alle primarie, ma soprattutto lo ho sostenuto su tutta la linea in tema immigrazione. A marzo Bloomberg lo accreditava già come prossimo responsabile della Homeland Security, per la quale calza a pennello anche Mark Morgan. Si è occupato di immigrazioni per l’FBI e per Barack Obama: nel corso della prima presidenza, Trump lo aveva messo all’angolo, poi lo ha riconsiderato e ne ha apprezzato il lavoro da capo della Customs and Border Protection, la forza di polizia alle frontiere. L’altro cavallo di battaglia trumpiano è l’economia. Ricompare Hagerty per il Tesoro, ma Trump potrebbe pescare nel mondo di Wall Street (il finanziere John Paulson o il manager Scott Bessent, in ottimi rapporti con il vicepresidente JD Vance). Qui si esce però dalle stanze della Casa Bianca e si arriva alla Federal Reserve, la banca centrale: Jerome Powell non si tocca, almeno fino alla scadenza del mandato che è tra due anni. Lo ha confermato ieri alla Cnn un consigliere di Trump. Ma dopo il 2026? Nei giorni scorsi voci di corridoio indicavano nell’economista Arthur Laffer un potenziale successore. Già consigliere fidato di Ronald Reagan, è il teorico dell’omonima curva: quando la pressione fiscale è troppo alta, le entrate fiscali calano per i disincentivi ad aumentare l'attività lavorativa. Certo, Laffer ha 84 anni e la conferma di Powell gli chiude la possibilità di rientrare.

Di un ruolo per Robert F. Kennedy Jr. si vocifera da quando ha lasciato la campagna da indipendente per sostenere Trump (andrebbe alla Salute e ieri ci ha tenuto a ribadire che non è un “no-vax” e che nessuno leverà i vaccini ai cittadini americani). Di una carica per Elon Musk, idem. Sarebbe il gran colpo tenuto in serbo per il finale. Il funambolico miliardario ha speso anima e corpo (e soldi, tanti soldi) per il candidato repubblicano, è diventato il volto della battaglia contro la cultura “woke”, ha rubato la scena sul palco (per i critici sarà la prima presidenza Musk). Immaginarlo imbrigliato nella burocrazia di Washington è impossibile: deve badare alle avventure nello spazio, nell’automotive, nell’intelligenza artificiale. È il candidato perfetto quindi per guidare la speciale task force per l’efficienza governativa, armato di motosega per tagliare i rami secchi- come ha fatto a Twitter dopo aver acquisito il social network – e indicare la via perla nuova “età dell’oro” proclamata da Trump. Funzionerebbe? Occorre attendere il 20 gennaio.

 

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