America in crisi e polarizzata? No, è il Paese che dà voce al popolo
Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Non date ascolto a certi media e a tutti coloro che vorrebbero un mondo ove tutto è pacificato, normalizzato, ridotto ad un “pensiero unico”. L’America non è mai stato questo e, per fortuna, continua a non esserlo. Se una cosa ci ha insegnato questa lunga campagna elettorale americana è che, dopo quasi due secoli e mezzo dall’indipendenza, il sistema americano regge ed esalta ancora quella complessa pratica politica che chiamiamo democrazia. Prima che un sistema di regole e procedure, la democrazia è il tentativo di unire in epoca moderna il kràtos con il dèmos, il potere alla volontà popolare. Le elezioni hanno proprio il compito di dar voce al popolo, di correggere gli errori che i governanti inevitabilmente commettono, anche, e direi soprattutto, se animati da buone intenzioni. Come diceva un liberale ottocentesco che se ne intendeva, Lord Acton, se il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente. Considerata in quest’ottica anche l’ascesa di Donald Trump, che data dal 2016, assume un altro valore da quello che i giornaloni solitamente le danno. Trump, mettendosi nei panni dell’uomo medio, “dimenticato”, ha segnalato con la sua stessa presenza l’esistenza di un potere delle élite sulla società americana che si era fatto totale, o quasi, pervasivo, asfissiante.
Che l’affermazione di Trump non fosse fuoco di paglia lo dimostra il fatto che il leader repubblicano ha conquistato il suo partito, ha allargato la sua base (quello che i marxisti chiamano il “blocco sociale” di riferimento) ed è ancora qui a combattere fino all’ultimo voto. Trump ha dettato l’agenda agli stessi democratici, con una sfidante che ha ammorbidito i suoi toni e che retoricamente ha cominciato a fare appello a quei ceti medi a cui prima i dem, tutti chiusi nella loro ideologia, non dedicavano nemmeno più un po’ attenzione. Trump vuole far dell’America un’autocrazia, non riconosce i valori che sono alla base della Costituzione, vorrebbe un potere assoluto? Già solo il suo appello a «fare nuovamente grande l’America», con l’insistenza sull’avverbio, dovrebbe far riflettere su questo facile giudizio. Sarà pure polarizzata la lotta politica odierna, ma essa non fa che riflettere una frattura profonda che ha percorso la società americana in diversi periodi della sua storia.
Né si può dire che in passato la campagna elettorale si svolgesse fra gentiluomini. I colpi bassi, in qualche modo, hanno fatto sempre parte del gioco e i democratici non si sono mai sottratti ad esso. A scalzarli sono sempre intervenuti i contropoteri. Il check and balance, il controllo reciproco fra i poteri, è un’altra delle caratteristiche del sistema americano ove la stampa e i giudici indipendenti, e in genere il deep state, hanno sempre avuto un ruolo importante nel frenare il potere politico. Anche in questo caso l’arrivo di Trump è stato provvidenziale: ha riequilibrato una Corte costituzionale che i democratici avevano quasi monopolizzato e ha smosso qualcosa anche in quello dell’informazione, almeno quella che passa sui social (ove un Elon Musk fino a qualche anno fa sarebbe stato inimmaginabile). L’America continua ad essere una grande democrazia. La sua bussola si chiama Libertà.
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