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Trump, le conseguenze della vittoria: immigrati, dazi e clima, come ribalterà l'Europa

Carlo Nicolato
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Se le elezioni americane dovessero tenersi in Europa non ci sono dubbi, Kamala Harris vincerebbe a mani basse. Questo almeno è quello che sostengono un paio di recenti sondaggi (Novus e Gallup) secondo cui la candidata democratica è di gran lunga preferita rispetto a Trump nell’Europa occidentale, 69% contro il 16%, ma anche in quella orientale, 46% contro il 36%. In generale il tycoon non gode di una buona reputazione a queste latitudini, perfino gli elettori di centrodestra nutrono dubbi su di lui se è vero, come sostiene un altro sondaggio YouGov, che ad esempio in Germania il 78% di quelli che di solito votano la Cdu preferiscono la Harris, così come il 66% degli elettori del Partito Popolare in Spagna e il 58% degli elettori del Partito Conservatore in Gran Bretagna.

Trump tiene botta tra i partiti considerati di ultradestra, come l’Afd in Germania, e quelli che di tale categoria non fanno parte ma ce li mettono, come Fratelli d’Italia, la cui preferenza per il tycoon sarebbe del 44% contro il 32% per la Harris.

In ogni caso non certo percentuali bulgare che ci dicono una cosa: che vinca uno o l’altro a destra nessuno perderà il sonno, in quanto si è convinti che la democrazia americana sia abbastanza forte per reggere il colpo, qualsiasi colpo. Senza considerare che quattro anni passano in fretta. È a sinistra piuttosto che ne fanno questione di vita o morte, di democrazia o dittatura, perfino di esistenza del pianeta tra fine delle politiche climatiche e guerre nucleari. Viene il sospetto oltretutto che se a sinistra hanno così paura di dover affrontare altri quattro anni di Trump significa che quel fronte politico, sebbene si creda il contrario, ha ben poca fiducia nelle capacità dell’Ue.

 

 

 

INTERFERENZE

Elly Schlein l’ha definito senza mezzi termini «una persona pericolosa» che «ha sempre privilegiato i dittatori, è l’impersonificazione di un modello spagliato di sfruttamento del lavoro» e rappresenta «una società per pochi ricchi privilegiati e per uomini. Noi abbiamo una preferenza netta e la speranza che vinca Kamala». Altri leader di sinistra europei sono stati più diplomatici, specie quelli che governano e che poi potrebbero avere che fare con lui direttamente, ma basta leggersi le testate a loro vicine per farsi un’idea del vero pensiero: «Un secondo mandato di Trump minaccerebbe tutto, dalla libertà di stampa alla sicurezza delle armi, dalla politica estera all’aborto, dall’immigrazione al cambiamento climatico», scriveva ieri il britannico Guardian, come se sotto Biden fosse tutto rosa e fiori.

«Con Trump tornerà il caos», così invece il tedesco Spiegel. Insomma l’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca per l’Europa ben inquadrata a Bruxelles e quella limitrofa sarebbe uno shock a effetto domino, partendo dalle stesse politiche comunitarie per finire con le ripercussioni interne a ogni singolo Paese. Per prima cosa c’è la convinzione che il tycoon riprenderà la sua navigazione in direzione contraria alla Nato interrotta da Biden.

Questo significherà che per quattro anni Ue e Gran Bretagna non potranno più contare come prima sulla leadership assoluta degli Usa. Ci andranno di mezzo anche gli aiuti all’Ucraina? Probabile. Trump ha detto che quella guerra deve finire il più in fretta possibile e non c’è modo migliore di ottenere tale risultato chiudendo i rubinetti di finanziamenti e armi. L’Europa in buona sostanza dovrà fare da sola, cioè garantire all’Ucraina gli stessi aiuti offerti da Washington, il che è impossibile ma per provarci dovrà aumentare notevolemente le spese e far finta di avere un’autonomia militare.

Quindi ogni Paese dovrà accelerare l’obiettivo Nato del 2% del Pil e superarlo (come già sta facendo la Polonia). Un dramma per i bilanci già in bilico per via delle politiche green. Il rischio è che la coperta, già considerevolmente corta, si accorci ancora di più e ad andarci di mezzo saranno proprio quelle. Apriti cielo. Non è un caso che i Verdi europei siano tra quelli più preoccupati e negli ultimi giorni hanno pubblicamente chiesto a Jill Stein, uno dei terzi incomodi, di ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca e sostenere la Harris. La Stein, dicono, potrebbe rubare a Kamala quell’ “uno virgola” decisivo alla vittoria di Kamala.

Un gruppo Ue, o un partito, non si era mai permesso di intromettersi così tanto nella corsa per la presidenza. Nemmeno che decine di deputati laburisti britannici si trasferissero negli Usa e facessero campagna per uno dei due candidati, nel caso specifico la Harris.

 

 

 

UNA SVEGLIATA?

L’altro spauracchio, nel caso di vittoria di Trump, riguarda una possibile guerra tariffaria. Se il tycoon aumentasse i dazi sui prodotti Ue, come faranno i Paesi Ue già alle prese con una guerra commerciale contro la Cina? E come reagirebbero a una possibile guerra economica a tre, ad esempio con gli Usa che applicano sanzioni secondarie sui prodotti Ue che a loro volta si basano su componenti o tecnologie cinesi? Domande raggelanti per la sinistra europea che non si rende conto che tutto ciò è già abbondantemente in atto grazie alle politiche dell’amico democratico Biden. Tuttavia non tutto il male non vien per nuocere. A Bruxelles c’è già chi dice che una vittoria di Trump darebbe una svegliata decisiva all’Ue, mentre a Berlino c’è addirittura chi pensa che sarebbe la salvezza economica e politica del Paese: meno green, più Cina e il semaforo è salvo.

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