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Re Felipe a Paiporta, "assassino!": come reagisce lui, una lezione a Sanchez

Ginevra Leganza
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Chi va sul posto rischia. A maggior ragione se, sul posto, ci va il re. Il re Filippo VI di Borbone che porta in piazza il corpo fisico, soggetto ai colpi della folla, nonché quello simbolico: inscalfibile e paradossalmente percosso per non aver saputo evitare la catastrofe (manco fosse, il re di Spagna, re per diritto divino: capace di guarire i mali del regno, e non invece il detentore d’un potere simbolico che tuttavia coi mali si misura).

Perché delle catastrofi, delle alluvioni a Valencia che mietono oltre duecento morti e mille dispersi – delle strade invase dall’acqua e dal limo, delle automobili sospinte dalla corrente e degli alberi eradicati – il popolo cerca sempre un motivo. Una causa fisica e metafisica – come il “corpo del re” – che gli dia pace. Un movente, insomma, contro cui gridare al cielo per lenire il dolore. Sicché re Filippo – insieme alla consorte Letizia e al premier Pedro Sánchez – è accolto dalla folla a Paiporta, nella comunità autonoma di Valencia, al grido di “Assassino!”. E l’immagine, si capisce, è degna d’una “filosofia del disastro”. Degna delle catastrofi che hanno scosso il pensiero occidentale. Del terremoto di Lisbona del 1755 (che coincise con il giorno di Ognissanti quasi come l’alluvione a Valencia) e del Papa Pio XII che nel 1943 esce tutto solo, da San Pietro, e spalanca le braccia a San Lorenzo in un abbraccio alla città di Roma dopo il bombardamento americano. Il re assomiglia, ma supera d’intensità, alla regina Elisabetta II. Che dopo il disastro di Aberfan, la frana di carbone che inghiottì la scuola gallese nel 1966, pianse lacrime inconsuete e perciò contestate.

 

 

 

E l’immagine del re schizzato dal fango, che già rimbalza da YouTube a TikTok, è quindi l’immagine d’un monarca che si misura col pantano e i contestatori, con i ciottoli e le sassaiole. Che supera le prove della storia giacché dopo gli insulti – e questo forse non ve lo diranno – si trasforma nell’immagine d’un abbraccio commosso, nei sudditi rincuorati e nelle lacrime di Letizia (consultare Instagram: @spain_royal). Ovvero nel quadro del disastro dove, non restando niente, ci si aggrappa a tutto. Dove gli uomini tornano sudditi, il re torna taumaturgo, e dunque persino capace – come per diritto divino – di lenire il male, la disperazione. Di lenire la morte.

 

 

 

Chi va sul posto, come re Filippo, rischia. E si misura, cioè, col grado zero della folla. Con l’assalto al cielo e con l’uomo che, dopo la catastrofe, ripiega nello stato di natura. Vale a dire nella rabbia e nella disperazione che non accettano l’imprevisto, il cataclisma, il terremoto, la bomba. Che non accettano e non si spiegano, adesso, l’alluvione a Valencia. E cercano un motivo e quindi un uomo – dapprima capro espiatorio e poi taumaturgo – che non può essere un premier (effimero per natura, vincolato ai mandati, e perciò contestato e basta). Ma dev’essere un re. Portatore d’un corpo fisico, schizzato dall’insulto e dal fango, e d’un corpo simbolico. Inscalfibile nonché unico ristoro alla disperazione.

 

 

 

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