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Kamala Harris tenta la rimonta: il ruolo di voto postale, donne ai seggi e sondaggi "amici"

Tommaso Montesano
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L’election day si avvicina e la forbice tra Donald Trump e Kamala Harris si riduce. A pochi giorni dal voto - senza dimenticare che oltre 63 milioni di americani hanno già espresso la loro preferenza o via posta, storico tallone d’Achille conservatore, o attraverso il voto anticipato in presenza - tutti i modelli predittivi sulle Presidenziali Usa di martedì prossimo concordano: la distanza tra i due candidati si sta assottigliando. La prova sta nei numeri delle due più note piattaforme di scommesse e previsioni di “mercato”: Polymarket e Kalshi. 

Per la prima, che tre giorni fa assegnava al repubblicano oltre il 66% di possibilità di vittoria, ora Trump ha il 60,9% chances di prevalere contro il 39,1% della vicepresidente uscente. In pochi giorni, Harris ha guadagnato oltre cinque punti. Più marcata l’inversione di tendenza di Kalshi: tre giorni fa, lo scarto tra Trump e Harris era di circa 30 punti; adesso The Donald è in vantaggio, sulle previsioni della sfida, di 12 (56% contro 44%). La tendenza non è del tutto visibile sui modelli che elaborano i sondaggi a livello nazionale e statale (a decidere l’esito della partita americana non è il voto popolare, ma il collegio elettorale nel quale sono rappresentati, in base alla popolazione, tutti gli Stati dell’Unione). Secondo realclearpolitics.com, Trump è in vantaggio dello 0,3% su scala generale.

 

Tra gli elettori dei sette Stati in cui, almeno secondo le rilevazioni, repubblicani e democratici sono divisi da uno scarto entro il margine di errore e che saranno decisivi per la conquista della maggioranza del collegio elettorale - Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina, Georgia, Arizona e Nevada - l’ex presidente mantiene un vantaggio superiore a quello che vanta a livello generale: ovvero dell’1,1% (aggiornamento di ieri sera). Il vantaggio di Trump appare più solido negli Stati del Sud (Georgia, Arizona e North Carolina) e in Nevada, meno nel “blue wall” del Midwest (in Michigan e Wisconsin la situazione si sarebbe ribaltata a vantaggio di Harris, mentre in Pennsylvania, dove probabilmente si deciderà la contesa, The Donald è avanti, in media, solo dello 0,5%).

Secondo il modello di FiveThirtyEight - 538, ovvero il numero dei “grandi elettori” che formalmente eleggeranno il nuovo presidente e il suo vice una volta raggiunto, da parte di uno dei due candidati, il numero magico di 270- Harris ha guadagnato un punto rispetto a giovedì (sempre su scala nazionale) e Trump ne ha persi due: ora l’ex presidente ha il 51% di possibilità di vittoria contro il 48% della sua sfidante. Gli stessi rapporti di forza certificati dall’Economist, mentre per il “bulletin” di Nate Silver nonostante il mini recupero Harris è ancora distante otto punti da Trump.

 

Ma per come è congegnato il sistema elettorale, basta lo spostamento di uno degli swing states dall’uno all’altro campo per cambiare l’esito della corsa. Le “previsioni” di 538 concordano con quelle di realclearpolitics: il vantaggio di Trump è più solido nella sun belt del sud, meno in Nevada e Pennsylvania (+0,1 e +0,4%), mentre negli altri due Stati del Midwest sarebbe Harris a spuntarla. Stando così le cose, sarebbe la Pennsylvania lo Stato cruciale: chi si aggiudica i suoi 19 voti elettorali, salvo sconquassi in territori finora considerati sicuri per uno dei due contendenti, “vince” la Casa Bianca. E in entrambi i modelli previsionali, il vantaggio di Trump a pochi giorni dall’election day arriva al massimo allo 0,5%. Troppo poco per dormire sonni tranquilli.

Non a caso dalla campagna elettorale del tycoon si moltiplicano gli appelli a votare (e subito, anche superando l’ostruzionismo dei funzionari statali ostili) per controbilanciare la mobilitazione- accreditata nelle ultime ore dal quartier generale democratico e dalla stampa vicina all’Asinello - dei segmenti di elettorato più vicini alla vicepresidente, in primis le donne. Non a caso ieri sera dal New York Times, fresco di endorsement a Kamala, è arrivato un avvertimento che “sinistro” per i sostenitori di Trump. In sintesi: non è vero che il tycoon abbia già vinto. Il vantaggio a suo favore, questo grossomodo il senso dell’articolo, è stato viziato da sondaggi di istituti vicini al Gop.

Peccato che i democratici nelle ultime ore stiano facendo - sempre che l’accusa del Nyt sia vera - altrettanto: per Marist la vicepresidente vincerà giusto con 270 voti elettorali grazie alla tenuta dell’intero blue wall del Midwest. Numeri smentiti dal senatore, e aspirante vicepresidente, Jd Vance: «Nel 2022, Marist diede in parità la mia corsa per il Senato in Ohio. Io vinsi di più di sei punti. Smettetela di preoccuparvi dei sondaggi e portate il popolo ai seggi. Sono sicuro al 100% che abbiamo l’elettorato di cui abbiamo bisogno per vincere».

La campagna di Trump ha diffuso l’agenda degli ultimi giorni di mobilitazione: oggi il tycoon sarà in North Carolina e Virginia (Stato evidentemente non così sicuro per i dem); domani toccherà ancora Pennsylvania, North Carolina e Georgia; lunedì gran finale, dopo ulteriori tappe in North Carolina e Pennsylvania, a Gran Rapids, in Michigan. Alla faccia dei sondaggi.

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