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Se gli ultrà ecologisti strillano, ma le morti per il "clima" sono crollate

Lorenzo Mottola
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A questo mondo esistono vari tipi di ambientalisti. Ci sono quelli alla Al Gore, ex vicepresidente Usa e premio Nobel per la pace, che quando si discute di cambiamento climatico evoca senza troppo timore la parola “apocalisse” e che riguardo alle tragedie come quelle di Valencia non esiterebbe a dirci che dobbiamo aspettarci solo catastrofi peggiori. Non a caso Gore è il grande ispiratore di Greta Thunberg, l’attivista più famosa del pianeta, cresciuta annunciando l’imminente fine del mondo. Poi ci sono gli ambientalisti come Angelo Bonelli, il quale se piove a Valencia si mette a puntare il dito contro Giorgia Meloni a Roma, perché rifiuta di avallare la legge Ue per il ripristino della Natura (ovvero la norma che avrebbe imposto ai nostri agricoltori di lasciare incolte frazioni dei loro campi, per tutelare la biodiversità...). E questi sono gli ambientalisti all’italiana. C’è infine un tipo di ambientalista un po’ più raro, come Bjorn Lomborg, contestatissimo scienziato ambientale. Il danese Lomborg è un tipo interessante e non è affatto un cosiddetto negazionista climatico.

Anzi, circola in monopattino e si definisce, appunto, ecologista. Però anche di fronte a disastri come quelli spagnoli ci tiene a ricordare alcuni fatti, da lui raccolti in una serie di libri e articoli: erano quasi 700 ogni annoi morti per alluvione alla fine dell’800 in Europa. Oggi la statistica è precipitata a meno di 100 vittime per l’intero continente ed è rimasta in costante calo da quando esistono dati. Negli anni ’30 del Novecento in tutto il mondo si contavano circa 400mila morti all’anno causati dalle piogge. Oggi siamo a 5400. E questa tendenza positiva vale per le nazioni ricche come per quelle povere. Non solo: anche per quanto riguarda i danni provocati dalle calamità, il “trend” è in netto miglioramento. Alla fine dell’800 ogni anno si registravano perdite economiche per un valore doppio rispetto a quello attuale.

 

 

Nelle sue ricerche Lomborg non arriva a una conclusione su quanto il riscaldamento climatico - che lui dà come verità assodata- influisca sull’entità degli eventi presi in esame: «Nella regione del Mediterraneo», scrive, «si è registrato un incremento minore, o addirittura una diminuzione negli ultimi decenni, delle precipitazioni estreme rispetto ad altre parti d’Europa, il che è anche coerente con le tendenze nel numero di eventi nei due sottodomini». I dati, però, non portano a una conclusione. Il tema, tuttavia, è un altro: è il progresso che ha fatto sì che le cose migliorassero e non è affatto impossibile prepararci di fronte alle tragedie, minimizzando i danni. Può certamente essere che a Valencia il riscaldamento climatico abbia avuto un ruolo, ma questo non significa affatto che non sarebbe avvenuta alcuna inondazione. E per affrontare la situazione magari senza utilizzare termini come “apocalisse” - non si può fare con i piani quinquennali o con la decrescita infelice alla Bonelli o alla grillina, ottenuta massacrando l’economia dei nostri Paesi. Per una transizione ecologica seria serve un’economia sana, che si curi del nostro territorio. Senza isterie. O per dirla come Lomborg «stiamo spendendo enormi quantità di denaro con un impatto limitato dal punto di vista delle emissioni. I governi devono spendere bene le loro risorse».

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