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Usa 2024, Kamala sta affondando: tra i dem pentiti c'è già nostalgia di Biden

Tommaso Montesano
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Conviene partire dai numeri dei “modelli predittivi”. Quello di The Economist, tanto per cominciare, per la prima volta dal mese di agosto- quando si svolse la convention Democratica- mostra Donald Trump davanti: il candidato repubblicano ha il 54% di possibilità di vincere le Presidenziali del 5 novembre. Il tycoon conquisterebbe 276 voti elettorali contro i 262 della sfidante Kamala Harris. Appena più basse le stime di Nate Silver, lo statistico e analista titolare dello storico Silver bulletin: anche per lui Trump, dopo la sbornia estiva pro Harris, è tornato in vantaggio (The Donald è stato davanti fino al ritiro di Joe Biden): il Repubblicano ha il 53,1% di possibilità di ottenere la maggioranza del collegio elettorale contro il 46,6% di Harris. E ancora: la piattaforma di scommesse Polymarket non ha dubbi, Trump ha quasi il 65% di chances di tornare a sedere nello Studio ovale il prossimo 20 gennaio.

Previsioni che riflettono quanto sta avvenendo negli Stati Uniti a poco meno di due settimane dal voto. In sintesi: nei sette battleground states nei quali si deciderà la partita, Trump sta mantenendo il vantaggio nei quattro del sud e della sun belt (Nevada, Arizona, Georgia e North Carolina) e sta aggredendo con successo il blue wall Democratico del Midwest (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin). Qui è di aiuto la mappa elettorale di realclearpolitics.com, secondo cui il vantaggio di Harris a livello nazionale è in fase di erosione - a ieri sera Kamala aveva appena lo 0,8% di vantaggio - e Trump sta avanzando in modo significativo in tutti e sette gli swing states, nei quali complessivamente avrebbe 1,2 punti di vantaggio (si va da un minimo di mezzo punto di margine in North Carolina ai 2,5 di vantaggio in Georgia).

 

 

Dopo un’estate favorevole ai Democratici, insomma, il vento è cambiato a favore dei Repubblicani in vista del traguardo. Per lo stesso Nate Silver, sta succedendo grossomodo quanto accaduto nel 2016. Ovvero che Trump, nelle ultime settimane, sta monopolizzando il dibattito e l’attenzione dei media sui temi a lui più favorevoli: inflazione e condizioni economiche, immigrazione e sicurezza. Un terreno sul quale Harris, che peraltro nelle ultime uscite pubbliche (interviste comprese) non ha brillato (eufemismo), non è riuscita a far emergere un messaggio articolato e alternativo a quello del rivale.

La vicepresidente uscente, inoltre, sta andando peggio del predecessore Biden nei segmenti elettorali tradizionalmente favorevoli ai Democratici: ispanici, neri, giovani, working class e perfino le comunità musulmane, forti soprattutto nel Michigan, uno Stato apparentemente a prova di bomba per l’Asinello (che esprime il governatore e due senatori), ma ora nell’orbita di The Donald (ieri Trafalgar group accreditava l’ex presidente di un vantaggio di due punti). Non a caso ieri Natasha Korecki, reporter di Nbc News, citava fonti interne Democratiche in preda al pessimismo per la crepa nel “muro” dei “grandi laghi”.

Così Harris sta cercando (improbabili) strade alternative: venerdì, a sorpresa, sarà a Houston, in Texas, dove punterà sull’aborto e cercherà di spingere la corsa al Senato del democratico Colin Allred. Un’inversione di tendenza rispetto al clima di ottimismo che si respirava tra i dem una volta “spinto” Biden al passo indietro. Adesso, però, i commentatori si interrogano sulla bontà della mossa orchestrata dal duo Barack Obama-Nancy Pelosi. Harlan Ullman di The Hill, ad esempio, si è chiesto: «E se Joe Biden fosse stato sempre il candidato migliore?». Qualche giorno fa, Silver è stato impietoso con Harris, elencando i 24 motivi per cui adesso Trump è diventato il favorito.

Tra le cause della flessione, l’analista si sofferma sulla debolezza della candidata Democratica sui temi economici; sulla difficoltà a separare il suo destino da quello del presidente in carica, con il 64,4% degli americani secondo cui il Paese sta andando nella direzione sbagliata; sul fallimento - almeno finora - di cancellare il ricordo delle posizioni di sinistra espresse nel corso delle Primarie del 2019; sull’evanescenza delle accuse a Trump di rappresentare una minaccia per la democrazia quando i Democratici esprimono il presidente e controllano il Senato; sull’impopolarità di una politica estera che ha solo esacerbato le tensioni internazionali.

Altra carta in mano al Gop: rispetto al 2020 c’è stato un cambio di marcia sul voto anticipato. Un modo per mettere al sicuro la preferenza prima dell’election day. Secondo il columnist Mark Halperin, i Repubblicani stanno andando oltre le previsioni in tutti gli Stati decisivi. Un’arma, questa, in precedenza appannaggio dei Democratici, che invece continuano a fare affidamento sugli 1,6 milioni di elettori residenti all’estero e idonei a votare nei sette swing states.

 

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