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Yahya Sinwar non è "morto per caso": tutta la verità sulla fine del macellaio

Amedeo Ardenza
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Giovedì gli israeliani hanno celebrato l’eliminazione del nemico numero uno, lo stragista e capo di Hamas Yahya Sinwar, mente e braccio della peggior carneficina di ebrei dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Venerdì a parlare sono stati invece gli americani. Da Berlino, dove è impegnato in una conferenza internazionale a favore dell’Ucraina, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha promesso il nuovo impegno della Casa Bianca per aiutare Israele a riportare a casa gli ostaggi sequestrati il 7 ottobre del 2023. «Sto per inviare (il segretario di Stato) Anthony Blinken in Israele», ha affermato il presidente dopo l’atterraggio in Germania. «Lavoreremo al “giorno dopo”», ha poi proseguito alludendo a «come possiamo proteggere Gaza e andare avanti verso un cessate il fuoco a Gaza».

 

LA GUERRA CONTINUA

Anche per gli Usa, insomma, l’uccisione dell’irriducibile Sinwar rappresenta un punto di svolta per cambiare le carte in tavola sul fronte meridionale d’Israele. Un passaggio diverso dalla recente eliminazione del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah: anche questo è stato un grande successo per lo Stato ebraico ma nessuno, né in Israele né oltreoceano, ha mai immaginato che l’uscita di scena del leader sciita libanese avrebbe portato alla pacificazione sul fronte nord. Al contrario, la guerra fra Israele ed Hezbollah si è fatta solo più accesa e sanguinosa.

 

 

 

Ma se il conflitto fra la milizia libanese e lo Stato ebraico è diventato una guerra a tutti gli effetti solo da qualche settimana, lo scontro diretto fra le Israel Defense Forces (Idf) e i terroristi di Hamas va avanti da un anno, con le Idf che hanno dapprima bastonato il gruppo nel nord di Gaza, isolandolo dal resto dell’organizzazione, quindi hanno proceduto verso sud attaccando prima Khan Younis e poi Rafah.

Da pochi giorni, infine, le Idf hanno ricominciato ad attaccare Hamas nel nord della Striscia per impedirle di riorganizzarsi. E secondo le Idf proprio verso il nord di Gaza si stava dirigendo lo stesso Sinwar. Israele ha condotto una guerra a tappe con caparbietà: se mezzo mondo non voleva un conflitto aperto con Hamas, tutto il mondo ha pregato, blandito, ammonito e minacciato lo Stato ebraico: non attaccate Rafah. Netanyahu non ha mollato nella consapevolezza che è stata anche la sua stessa politica dell’equilibrio fra Israele e Hamas – tu mi lanci venti missili, io ti distruggo venti palazzine e siamo pari – a portare al disastro del 7 ottobre. Un massacro che nella mente di Sinwar era solo il primo di una lunga lista. Ecco perché per Israele Hamas va messa in ginocchio: non è vendetta, ma sopravvivenza.

 

 

 

E oggi, ha affermato venerdì il consigliere per le comunicazioni sulla sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, la struttura militare di Hamas è stata decimata al punto in cui non le sarebbe più possibile scatenare un altro attacco come quello del 7 ottobre. Rivolto ai giornalisti durante un briefing virtuale, Kirby ha spiegato come gli Usa ritengano che andare verso la fine della guerra sia fondamentale. «E crediamo che la morte di Sinwar ieri abbia fornito un punto di svolta per arrivarci». Hamas è sparita?

No. Può sempre colpire? Sì, ha spiegato Kirby ricordando che si tratta ancora di un gruppo del terrore. Ma Hamas non è più una minaccia strategica. Ecco perché tanto l’amministrazione Usa quanto, con più cautela, alcuni esponenti del governo in Israele sperano adesso in un accordo per la liberazione degli ostaggi e una tregua. Hamas ha ovviamente dichiarato che la «resistenza» continua e che gli ostaggi nella Striscia di Gaza non saranno rilasciati fino a quando Israele non avrà posto fine alla sua offensiva. La storia però insegna che non sta allo sconfitto dettare condizioni al vincitore. Anche dopo il suicidio di Hitler e di Goebbels il cancelliere Lutz Schwerin von Krosigk e il Reichspräsident Karl Dönitz provarono a negoziare con gli Alleati un armistizio favorevole a quello che restava del Reich. Alla Germania nazista fu però imposta la resa totale.

 

 

 

NESSUN ARMISTIZIO

C’è dunque da aspettarsi che anche agli islamo-nazisti di Hamas, il cui scopo dichiarato è cancellare Israele e cacciare gli ebrei from the river to the sea, sia imposta la capitolazione totale. Per lo Stato ebraico si tratta di una questione strategica: sconfiggere Hamas significa sconfiggere un nemico pericolosissimo e troppo a lungo sottovalutato; sconfiggere Hamas serve poi a dimostrare a Hezbollah a nord e all’Iran a nordest che lo Stato ebraico non ha intenzione di tornare agli equilibri precedenti; sconfiggere Hamas serve anche riportare a casa gli ostaggi, una ferita aperta nella carne viva della società israeliana; sconfiggere Hamas e procedere verso la pacificazione, infine, è il solo modo di sconfessare tutte le anime belle per cui l’Isis va sconfitto, Al Qaeda va sconfitta ma con Hamas, chissà per quale ragione, Israele dovrebbe coabitare.

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