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Joe Biden e gli insulti a Netanyahu. Ma il presidente odia anche Obama

Dario Mazzocchi
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«Bibi, non hai una strategia». «Netanyahu? È un fottuto bugiardo». «Bibi, che cazzo?». Sono tre delle imprecazioni usate da Joe Biden nei confronti del premier israeliano Benyamin Netanyahu secondo Bob Woodward. La storica firma del Washington Post che svelò lo scandalo Watergate, in un libro in uscita, War, riporta la sequenza di parolacce del presidente americano. «War» riporta anche la delusione di Biden per non aver ottenuto l’appoggio dal presidente Obama nel 2016. Non poteva però mancare l’attacco a Trump. Secondo Woodward, nel 2020 Donald avrebbe inviato a Vladimir Putin forniture di test per il Covid a uso personale.

Stando alle ricostruzioni dell’autore, Putin avrebbe poi telefonato all’allora presidente americano pregandolo di non diffondere la notizia: «La gente se la prenderebbe con te, non con me». Nel volume si fa riferimento ad altre telefonate tra i due, l’ultima a inizio 2024. «Trump è stato il presidente più sconsiderato e impulsivo nella storia americana», è il ritratto che gli riserva Woodward. Lui almeno una posizione chiara ce l’ha, non altrettanto si può dire della sfidante Kamala Harris. Era uno dei grandi timori tra le fila del Partito democratico, quello di vedere Kamala alle prese con domande ben assestate a favor di telecamera. E si è materializzato durante l’intervista concessa a 60 Minutes, storico programma televisivo della CBS che va in onda dal 1968, dove Harris è stata ospite lunedì per essere incalzata dal conduttore Bill Whitaker su alcuni temi bollenti della campagna elettorale, tra cui l’immigrazione. Whitaker si è rivolto alla candidata democratica domandandole perché l’amministrazione Biden abbia iniziato ad affrontare con decisione la questione solo di recente, a quattro anni dal suo insediamento e con un flusso di irregolari quadruplicato. Colpa del Congresso e dei Repubblicani, ha risposto di istinto Harris, accusando Donald Trump e la sua truppa di deputati di aver affossato le misure intraprese della Casa Bianca «per cavalcare il problema invece di risolverlo». Una replica che non ha soddisfatto il conduttore.

 

 


«Ma c'è stata una storica ondata di immigrati clandestini che hanno attraversato il confine nei primi tre anni della vostra amministrazione. È stato un errore allentare le politiche sull'immigrazione come avete fatto?». «È un problema di vecchia data», ha provato a giustificarsi Harris, indaffarata nel trovare le parole giuste che non sono arrivate. «Quello che stavo chiedendo era: è stato un errore permettere che accadesse una tale ondata fin dall'inizio?», ha rilanciato ostinato Whitaker, nella speranza di ricevere finalmente una risposta diretta. Speranza vana perché da Harris è giunta solo una frase di circostanza: «Penso che le politiche che abbiamo promosso siano state orientate a risolvere un problema, non a promuoverlo».
Non è andata meglio sull’economia, dove la vicepresidente non ha messo in chiaro come intenda far passare al Congresso il suo piano di spesa che prevede una «quota giusta» di tasse per i ricchi. «Sono una servitrice pubblica, ma anche una capitalista», si è giustificata la candidata democratica, tergiversando una volta di più e sentendosi in dovere di fugare qualsiasi dubbio sul suo dna politico. Excusatio non petita? Una performance per nulla convincente per un’emittente, la CBS, che non guarda certamente a destra, ma che per Harris si è rivelata una fastidiosa spina nel fianco.

 

 

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