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Israele, quelli che soffrono perché i terroristi sono stati umiliati

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Che a essere in lutto siano le organizzazioni del terrorismo islamico e i loro amici in giro per il mondo, si capisce benissimo. Al massimo, si può sorridere amaramente delle surreali note giunte da Teheran e da Mosca. Il regime degli ayatollah, la vera testa del serpente che sta avvelenando da anni tutta la regione, ha avuto la spudoratezza di evocare il concetto di «genocidio»: l’attacco israeliano alle apparecchiature di comunicazione di Hezbollah sarebbe appunto «una prova di genocidio», secondo il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani. E così, ribaltando le parti, proprio lo stato che vorrebbe distruggere Israele e che finanzia le organizzazioni del terrore sostiene che sia Gerusalemme a «mettere di nuovo a rischio la pace e la sicurezza della regione».

Non meno lunare la dichiarazione giunta da Mosca a firma dell’ineffabile Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che – con sprezzo del ridicolo – ha invitato «tutte le parti interessate alla moderazione». Ci mancava solo l’elogio della moderazione messo nero su bianco dal Cremlino.

Ma ciò che – pur senza stupirci – deve allarmarci maggiormente è che un analogo senso di lutto si percepisca nei resoconti e nei commenti dei giornali italiani e di non pochi media occidentali, sempre più incapaci di distinguere tra uno stato democratico come Israele e le belve del terrore islamista.

Da questo punto di vista, va invece ricordato che, dopo il 7 ottobre, tutti – da Washington a Bruxelles – si dicevano concordi sull’obiettivo di distruggere Hamas tanto quanto le altre organizzazioni del terrorismo integralista (...)

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