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Elon Musk, entro 20 anni una città su Marte: i "lavori" sono già iniziati

Claudia Osmetti
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C’è da dire una cosa a proposito di Elon Musk. È un folle visionario, può fare simpatia oppure no, può piacere o meno la considerazione che di lui ha Donald Trump, ma quando si mette in testa qualcosa la fa. Non importa che sembri fantascienza, lui la ottiene. Ha sviluppato (e testato) il primo chip installato nel cervello di un essere umano, ha messo in commercio le macchine a guida autonoma (una delle sue Tesla, ad aprile, ha guidato il suo proprietario all’ospedale, da sola, dopo che questi aveva preso un infarto, salvandogli la pelle), ha portato nello spazio, per la prima volta nella storia, con una navicella privata, quattro turisti civili che hanno girato per tre giorni attorno alla Terra senza che tra loro ci fosse un astronauta di professione.

Ecco perché adesso, quando Musk annuncia che «le prime astronavi per Marte saranno lanciate tra due anni» e che invece «i primi viaggi con equipaggio arriveranno tra quattro anni» eche «di lì in poi il numero dei voli crescerà in maniera esponenziale con l’obiettivo di costruire, tra circa vent’anni, delle città in grado di sostenersi autonomamente», c’è da credergli.

 

 

 

Pazzo quando vuoi, sognatore quanto necessario: ma soprattutto concreto come pochi. Parte la corsa di Musk al “pianeta rosso”: che fa un po’ meno Fascisti su Marte e un po’ più For all mankind (per chi abbia visto le ultime stagioni), ma soprattutto fa entusiasmare milioni di persone perché, siamo onesti, dopo l’Apollo 11 in piena guerra fredda, gli interessi extra-terrestri del vecchio e caro mondo si sono un tantinello raffreddati. Life of Mars, va bene, di tanto in tanto qualcuno la butta là (Bowie perdonaci): però, sul serio, ma chi ci crede?

Musk ci crede. E ci crede al punto che il suo obiettivo (dichiarato) è quello di «diventare multiplanetari» e «non avere più tutte le nostre uova su un unico pianeta». La data scelta per il primo razzo marziano, tra l’altro, non è una boutade: nel 2026, vista la rotazione dei pianeti, Marte e la Terra saranno più vicini (dove per “più vicini” s’intende comunque una distanza di 228 milioni di chilometri, una volta e mezza quella che c’è tra noi e il sole), sfruttare il passaggio tra le orbite consentirebbe da un lato di risparmiare tempo e dall’altro anche carburante.

Alla SpaceX, la società spaziale di Musk, non hanno dubbi: su Marte c’è una discreta luce solare, spiegano; fa freddino ma niente vieta di studiare un sistema di riscaldamento; l’atmosfera è composta principalmente da CO2 con spruzzatine di azoto e argon e pochi altri oligoelementi che potrebbero permettere, con piccole accortezze, di coltivare delle piante; e la gravità è circa il 38% di quella a cui siamo abituati per cui si camminerebbe saltellando e anche il più gracilino di noi si sentirebbe Maciste.

L’astronave che tra due anni partirà alla volta di Marte ha già un nome, si chiama Starship: e un suo razzo è addirittura già stato usato, si è ammarato nell’oceano indiano a giugno dopo aver completato un test dimostrativo di volo intorno alle nostre teste (è lui che ha sferzato la tabella di marcia marziana di Musk, ché il pallino per Marte non gli è venuto adesso ma sono anni che lo paventa, solo in termini assai più cauti di quelli odierni).

Non sarà una passeggiata, ovvio, specie se lo scopo finale è una colonizzazione umana oltre l’atmosfera: alcuni studi americani sottolineano come un viaggio lungo come quello verso Marte (durerebbe sei mesi solo l’andata) potrebbe incidere negativamente su alcuni organi del corpo umano, causare danni irreversibili e, forse, favorire persino il cancro. Ma così come i tecnici di SpaceX sono al lavoro per costruire habitat a copula e tute spaziali specifiche (stanno anche provando a capire se sarà possibile riprodursi sul suolo marziano: scusi-dove-ha-detto-che-è-nato?), altri scienziati dovranno analizzare questi fattori.

«Attualmente ci sono costi di circa un miliardo di dollari per portare una tonnellata di carico utile sulla superficie di Marte», spiega Musk, «bisogna migliorare questo aspetto e portare la cifra a 100mila dollari per tonnellata, in modo da costruire una città autosufficiente lì. Quindi la tecnologia deve essere 10mila volte migliore». Una questione di portafoglio, insomma, che a sentire il miliardario più futurista dell’(antico) pianeta è «estremamente difficile, ma non impossibile».

 

 

 

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