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Norvegia, morte del beluga-spia: "È stata un'esecuzione"

Luca Puccini
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Si fa sempre più misteriosa la morte di Hvaldimir, il beluga-spia del Cremlino (però fuggito, probabilmente, alla marina russa che lo stava addestrando: dasvidania, tovarish) e ritrovato senza vita agli inizi della settimana scorsa, al largo della costa sud occidentale di Risavika, in Norvegia. «Quando ho visto il suo corpo e le numerose ferite ho capito subito che era stato colpito a morte», dice, adesso, a distanza di qualche dì, Regina Haug, la fondatrice dell’associazione OneWhale che si occupa, appunto, di difendere le balene nel mondo.

Premessa dovuta: di certo non c’è ancora niente (e, infatti, tutto ciò che ruota attorno a questo cetaceo bianco come una porcellana è un po’ enigma e un po’ giallo, un po’ intrigo internazionale e un po’ dubbio gelato). «Quando l’abbiamo trovato non è stato possibile determinare immediatamente la causa della morte, quindi ora è importante astenersi dalle speculazioni finché non saranno fatte tutte le analisi», richiama all’ordine, sui social Marine Mind, l’organizzazione di Sebastian Strand che, negli anni, ha monitorato Hvaldimir ovunque spinnettasse e, per prima, l’ha trovata mentre «galleggiava immobile».

 

 

La spia del mare del nord dalla pelle color alabastro e con un nome in codice (che, in norvegese, assembra le parole “hval” - balena - e “Vladimir” - che ovviamente sta per Vladimir Putin: Hvaldimir è stata trovata nel 2019 a Hammerfest, nella regione norvegese più vicina all’Artico (ma anche quella confinante con la Russia), con addosso un’imbracatura go-pro, ossia una di quelle telecamerine indossabili che generalmente chi fa sport estremi le fissa al caschetto protettivo e invece nel suo caso era infilata in una cinghia su cui c’era pure scritto in cirillico, “attrezzatura di San Pietroburgo”. Un caso, forse. Un segreto, più probabile. Un tentativo di ammaestramento finito male, ancora più plausibile. Fatto sta che, da allora, e sono passati cinque anni, Hvaldimir, in Norvegia, è diventata una star e la sua dipartita (a soli quindici anni d’età quando i beluga ne vivono anche sessanta) ha fatto drizzare le orecchie a più d’uno.
Specie perché le prime indiscrezioni raccontano di una morte violenta, quasi un’esecuzione: uno o più colpi di arma da fuoco, sparati a che distanza vai a sapere, epperò letali. «Non c’è alcun dubbio che questo animale gentile e mansueto sia stato ucciso in modo insensato», continua Haug, «cercheremo di ottenere giustizia per Hvaldimir e speriamo che qualcuno si faccia avanti con informazioni riguardanti il suo omicidio».

Termini non gettati lì a caso, ma che hanno un significato ben preciso: e cioè che «diversi veterinari, biologi ed esperti di balistica hanno esaminato le prove delle sue ferite e sono giunti alla conclusione che la morte della balena sia il risultato di un atto criminale». Dello stesso avviso, tra l’altro, è anche il gruppo norvegese per la difesa dei diritti degli animali Noah, che è l’organizzazione di settore più importante a Oslo. Noah e OneWhale volevano trasferire Hvaldimir nelle acque più a nord del Paese e avevano appena ottenuto i permessi necessari per procedere dagli uffici della Direzione della pesca: il beluga, però, nel frattempo, è morto.

Sulla carcassa di Hvaldimir era già stata disposta l’autopsia (il “verdetto” ufficiale toccherà all’istituto veterinario norvegese), segno che il suo decesso, proprio del tutto chiaro, non lo è sembrato nemmeno all’inizio. Al momento, però, oltre alle verifiche avviate, c’è una denuncia, presentata da OneWhale e Noah alla polizia di Sandens (la cittadina più prossima al golfo nel quale Hvaldimir è stato ritrovato), per reati di carattere economici e ambientali. Non è ancora stata ufficializzata, a ogni modo, un’inchiesta formale: «Non credo che ci sia mai capitato un caso del genere prima», commenta, infine, il sovrintendente di polizia norvegese Victor Fenne-Jensen. Non è così difficile credergli.

 

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