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Germania, l'Europa dirigista e green ha favorito l'avanzata dei sovranisti

Corrado Ocone
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In una bella intervista al nostro giornale, il politologo tedesco Konstantin Vössing ha dato ieri un’interessante lettura dei risultati elettorali di Turingia e Sassonia di domenica scorsa. Egli ha insistito sulla differenza fra le regioni che, prima della riunificazione, appartenevano alla Germania Est, e che quindi gravitavano in orbita sovietica, e quelle che invece costituivano la vecchia «Germania di Bonn».

L’Afd sarebbe, in questo senso, un partito essenzialmente dell’Est, così come i tre partiti al governo (socialisti, liberali e verdi) sarebbero radicati quasi esclusivamente a Ovest. I democristiani sarebbero così l’unico partito “nazionale”, cioè capace di raccogliere consensi in tutta la Germania. Le elezioni che si svolgeranno fra due settimane in Brandeburgo, una regione dell’ovest finora roccaforte dei socialdemocratici, ci diranno fino a che punto la tesi di Vössing regge.

 

 

 

Ovvero in che modo essa si intrecci con un altro elemento inequivocabile emerso già nelle elezioni europee del giugno scorso: i tedeschi tutti bocciano le forze di governo, mentre premiano le opposizioni, compresa quella democristiana, che pure ha governato la Germania per buona parte degli ultimi anni. A ben vedere, fra le due analisi potrebbe esserci infatti un trait-d’-union: i cittadini dell’Est sono particolarmente severi coll’attuale governo anche per motivi specificamente loro, concernenti cioè la loro storia. Qualche commentatore, tanto fazioso quanto superficiale, ha individuato questi motivi nella impossibilità che essi avrebbero avuto di maturare nel secondo dopoguerra, al contrario dei connazionali dell’Ovest, una coscienza autenticamente democratica, e di apprezzare quindi i valori liberali e dello Stato di diritto.

Passati da un regime totalitario all’altro, essi non avrebbero metabolizzato lo shock della libertà e riuscirebbero oggi a concepire solo un regime autoritario quale quello che l’Afd prospetta loro. Che è poi un altro modo di ripetere quel mantra che ha molta fortuna a destra e che vuole il popolo che non vota a sinistra, o che contesta i diktat progressisti, incolto, arretrato, fascista (in questo caso addirittura nazista) a prescindere. Dubito fortemente del fatto che chi sia vissuto per tanti anni sotto le grinfie della Stasi, la famigerata polizia segreta che aveva instaurato un regime di controllo totale sulle “vite degli altri” e di delazioni diffuse, possa non aver desiderato, agognato o apprezzato il valore della libertà. Che anzi possa desiderare ancora quella “protezione speciale” che il vecchio regime imponeva loro.

Più realistico sembra invece rovesciare l’argomentazione e chiedersi se non sia stata proprio l’aspettativa di libertà, e quindi la fiducia riposta nell’Occidente, ad aver generato la disillusione che spiega oggi per una buona parte il voto dell’elettorato. Da questo punto di vista, lo stesso declino economico tedesco assume un peso relativo: non credo che i tedeschi dell’Est vivessero in condizioni sociali migliori sotto il comunismo rispetto a come vivono oggi in una Germania che pure è sicuramente in difficoltà. O, quanto meno, anche queste difficoltà possono essere facilmente ricondotte alla scelta chiaramente ideologica compiuta dall’attuale governo, in consonanza con una Unione Europea che nemmeno se la passa troppo bene, di procedere a tappe forzate verso una riconversione industriale green. La quale, oltre ad essere inefficace da un punto di vista pratico, mette praticamente in ginocchio tutto un sistema economico-industriale fino ad oggi perfettamente funzionante.

Ora, è proprio un caso che i Verdi siano quasi scomparsi e i socialisti che hanno fatto da traino a queste politiche si siano ridotti a percentuali fino a poco tempo fa inimmaginabili? Più in generale, un abitante dell’Est non vede forse proprio nell’approccio dirigistico all’economia e alla politica qualcosa da lui ben conosciuto e che pensava di essersi messo definitivamente alle spalle? Non ha egli poi un sussulto nel vedere ogni giorno realizzate, attraverso l’ideologia woke, le stesse politiche illiberali di “esclusione” e censura ideologica che, seppure in altra orma, venivano sistematicamente messe in atto ai tempi di Honecker e della sudditanza a Mosca?

Era proprio questa l’Europa che i tedeschi orientali segnavano, un’Europa che non è in grado di difendere i suoi valori, in cui più non crede, e che ha maturato un senso di colpevolezza anche verso la propria storia migliore? E non è stato forse proprio questo sentimento a portarla a sottovalutare i problemi che sarebbero nati dall’accoglienza non gestita di immigrati appartenenti ad altre culture e civiltà?

L’immigrazione, come si sa, è il punto forte su cui insiste nel suo programma l’Afd (così come la sinistra di Sarah Wagenknecht). In conclusione, si può dire che su una cosa ha senza dubbio ragione Alice Weidel, la co-presidente di Afd intervistata ieri da Republica: continuare a far finta di niente, nascondere la testa sotto la sabbia come fa il cigno, innalzare muri e costruire “cordoni sanitari”, in una parola rinunciare a capire e a far politica, porterà la classe dirigente di Berlino a sicura e rapida fine.

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