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Pedro Sanchez, ecco come finanzia la secessione: la mossa che frantuma la Spagna

Carlo Nicolato
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La strategia è sempre la stessa, quella di anticipare il nemico. Cioè prenderlo alla sprovvista e non dargli il tempo di agire. Il socialista Pedro Sanchez l’ha già applicata diverse volte nella sua carriera politica, anticipando ad esempio le elezioni nazionali lo scorso anno, o quelle catalane in quello corrente. In un modo o nell’altro gli eventi gli hanno dato più o meno sempre ragione, spesso per fortuna, a volte per inadeguatezza palese della controparte, ma stavolta si tratta di un avversario interno nato proprio per l’insofferenza crescente nei confronti dei suoi giochi di prestigio, in particolare quelli che riguardano gli indipendentisti catalani.

Ai mugugni di una buona fetta del partito, quella delle comunità autonome che contestano il patto con Erc che ha permesso al socialista Salvador Illa di prendersi la presidenza catalana, Sanchez ha risposto anticipando al prossimo novembre il congresso del Psoe che avrebbe dovuto essere organizzato nel 2025 in autunno. Si terrà a Siviglia e ufficialmente, secondo l’interpretazione ufficiale emersa da Ferraz, il quartier generale federale del Psoe, si tratta di una mossa per dare impulso al partito e promuovere il rinnovamento delle leadership territoriali in un momento in cui la maggioranza parlamentare ha il suo da fare per tirare avanti dopo il disimpegno degli altri catalani, quelli dell’esule Puigdemont.

 



RIBELLI ARAGONESI
La scelta dell’Andalusia dunque non è casuale, perché è proprio dall’ex roccaforte storica della sinistra, ora in mano ai Popolari, che Sanchez vorrebbe partisse la riscossa. Ma in realtà è proprio il malcontento che si è creato dopo il patto con Erc ad aver spinto Sanchez a passare all’azione indicendo un congresso che nel suo intento dovrebbe rafforzare la sua leadership spegnendo sul nascere le proteste. La decisione è arrivata dopo che l'Esecutivo Regionale del Psoe dell’Aragona guidato da Javier Lamban ha votato all'unanimità un documento in cui si respinge l'accordo con Erc, un atto di ribellione che non ha precedenti negli ultimi anni di “inciuci” con i catalani. Finora i mugugni si erano limitati a prese di posizione ufficiose, come quella di Emiliano García-Page, presidente di Castilla La-Mancha, ma qui si tratta di un atto ufficiale con tanto di voto unanime. Il segretario dei socialisti aragonesi Darío Villagrasa ha sottolineato che il partito difende l'uguaglianza e la giustizia da «decenni» in un sistema di finanziamento regionale in cui si riflette il costo reale dei servizi e «senza privilegi di alcun tipo». Anche se poi ha cercato di stemperare la polemica sottolineando che tale voto non significa che i socialisti aragonesi smetteranno di sostenere il governo centrale, l’attacco è duro da digerire per un vanaglorioso come Sanchez.

Quello che non piace di quel patto è ovviamente la parte fiscale, in particolare il punto in cui si dice che «la gestione, la riscossione, il regolamento e l'ispezione di tutte le tasse sostenute in Catalogna corrispondono all'Agenzia delle Entrate della Catalogna». È quella che in Spagna viene definitala «financiacion singular», un meccanismo che di fatto permette alla Catalogna di gestire tutte le entrate fiscali. Allo Stato poi Barcellona si dovrebbe occupare di trasferire due quote, una come compensazione per i servizi che fornisce in Catalogna (difesa, rappresentanza estera, amministrazione della giustizia, ecc.), l’altra per contribuire all'equità o alla solidarietà territoriale. Critiche sul punto sono ovviamente arrivate da destra, da chi pensa che è quantomeno imprudente dare le chiavi della cassa in mano ai catalani che solo qualche anno fa hanno scatenato un putiferio dichiarando l’indipendenza, ma anche da chi pensa che tale patto ufficializza di fatto la tesi del “saccheggio fiscale” alla Catalogna, una delle “menzogne” sulle quali si fonda l’indipendentismo.

Tra i sostenitori di questa tesi c’è Josep Borrell, che oltre a essere l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri è un socialista storico, nonché catalano a sua volta. Il governo si è difeso sostenendo che non c’è nulla di nuovo in tutto questo, che ai Paesi Baschi viene riservato un trattamento identico, ma ciò non ha fatto altro che rinfocolare la polemica con le altre Comunidad che si sono fatte avanti sostenendo di essere sottofinanziate. L'Andalusia, la Comunità Valenciana, la Castiglia-La Mancia e Murcia sono quelle che secondo i dati ufficiali hanno ricevuto meno finanziamenti dallo Stato e che di conseguenza in questi giorni hanno chiesto di essere compensate con 3,2 miliardi di euro all’anno.

CRISI IN VISTA
Altri ancora ne hanno fatta una questione di politica interna del partito. García-Page appunto, che ha detto che il problema in realtà non è Erc in sé, «il problema sono coloro che mettono da parte il proprio programma politico, il proprio codice ideologico e le proprie convinzioni». Sanchez lo ha liquidato sostenendo che «la notizia sarebbe se avesse tenuto una conferenza stampa a sostegno del governo spagnolo», ma poi a García-Page è arrivata la mano tesa del leader popolare della Comunidad Paco Núñez che gli ha proposto di respingere insieme il patto catalano, rendendo la questione meno personale e decisamente più politicamente complicata. Critiche sono arrivate anche dal presidente asturiano, anche lui socialista, Adrián Barbón, che si è detto contro i cambiamenti e pronto a votare a sfavore di una legge che introduca meccanismi non uguali per tutti. Insomma, se non fosse che c’è di mezzo Sanchez si potrebbe tranquillamente sostenere che i socialisti e il loro governo difficilmente sopravviveranno all’autunno. Ma appunto... c’è di mezzo Sanchez, l’uomo che al suo esordio politico è entrato in Parlamento senza essere eletto e per due volte è andato alla Moncloa pur avendo perso entrambe le volte le elezioni. Per lui nulla è impossibile.

 

 

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