Hamas, un leader tagliagole vale l'altro: chi è il successore di Haniyeh
Imperversa in queste ore una narrazione che poi è un commento unico, copia&incollato sui giornaloni sempre più giornalini, in genere di fianco a un pezzo che lamenta gli eccessi dell’esercito israeliano. Il racconto suona: dannazione, adesso che Hamas è interamente in mano a Yahya Sinwar, rischia di prevalere il volto sanguinario a scapito dell’attitudine al dialogo. Ecco, chi replica a pappagallo l’allarme (per cui la nomina della guida militare a capo politico «allontana la tregua» per La Stampa, «allontana il cessate il fuoco» per Repubblica, e via titolando per sinonimi), lo sappia o no, accetta una delle premesse della retorica di Hamas.
Diciamo pure della dissimulazione sistematica di Hamas, amplificata dai media occidentali. Perché è certamente vero che Hamas è una realtà composita, con un Consiglio formato da personalità religiose, un Ufficio Politico che gestisce le relazioni con la variegata galassia islamista e detta la linea (leggi la riceve da Teheran, con un occhio sempre agli umori di Erdogan), una rete “amministrativa” (la cosiddetta Da wa)che si occupa di raccolta fondi e reclutamento, l’«ala militare» (come la chiamano i finti dotti, noi diciamo la divisione fattualmente terrorista) delle Brigate Ezzedin al-Qassam. Anche il regime nazista, del resto, era una realtà estremamente articolata, c’erano il Partito, c’erano le Ss, c’era la Gestapo, c’era chi si occupava di propaganda, chi di finanziamenti, chi di caccia agli ebrei e ai dissidenti. Ma l’ideologia totalitaria, la testa da cui partivano i tentacoli del mostro, era ovviamente una.
SCRITTO NERO SU BIANCO
Lo stesso identico schema vale per Hamas (non a caso il suo fondatore Ahmed Yassin, mentore di Sinwar, era grande estimatore del Mein Kampf). In questo caso, il cemento ideologico è l’islamismo fondamentalista e antigiudaico, che persegue come missione, da Statuto dell’associazione, la cancellazione dello Stato degli ebrei. Come è noto, questo è un punto talmente dirimente, che il gruppo per perseguirlo ha perfino messo in secondo piano la classica contrapposizione sunniti/sciiti, diventando negli anni un proxy dell’Iran, il braccio armato contro l’«entità sionista» della teocrazia degli ayatollah. Questa cornice ideologica, geopolitica, programmatica, è condivisa da qualunque dirigente di Hamas, perché Hamas è una cosa sola: una banda terrorista nazi-islamica.
Per rendersi conto di quanto certi distinguo valoriali siano solo un pannicello caldo per la coscienza occidentale (fino alla folle rincorsa a una “Hamas buona”, assai diffusa a sinistra prima del 7 ottobre e non scomparsa nemmeno dopo), basti ricordare le seguenti esternazioni del predecessore di Sinwar, Ismail Haniyeh, eliminato da una bomba israeliana proprio mentre si trovava a Teheran a prendere consegne. «L’ho già detto e lo ripeto: siamo noi che abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini, anziani palestinesi, per risvegliare dentro di noi lo spirito rivoluzionario, per spingerci avanti!». Sono parole del “politico”, secondo molti persino il “moderato”, quello con cui a detta di molte cancellerie europee si poteva ragionare. Trovate qualche differente qualitativa col virgolettato del nuovo capo, il “macellaio di Khan Yunis” (soprannome coniato dai palestinesi, non dagli israeliani), secondo cui la morte dei civili «infonde la vita nelle vene di questa nazione, spingendola a risorgere»? No, perché non esiste nessuna differenza qualitativa, nel mondo monolitico, paranoico, assassino di Hamas. Esiste solo una diversa distribuzione dei compiti.
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NO, NON È PIAZZA DEL GESÙ
È ora di piantarla con questo tarocco tutto nostro, la gerarchia di una banda terrorista dipinta come la dialettica tra le correnti nella Democrazia Cristiana. C’è una sola corrente, dentro Hamas, è quella che vuole farla finita con gli ebrei. Piuttosto, la scelta di Sinwar indica che il mostro è in difficoltà, che lo spazio per gli artifici e gli infingimenti pseudodialoganti si restringe, che bisogna serrare le fila perché l’esercito israeliano sta recidendo tentacoli in serie, per cui la geopolitica coincide sempre di più con la sopravvivenza dentro i tunnel, nelle viscere di Gaza, e con il legame sempre più stretto con l’Asse del Terrore mosso da Teheran (Hezbollah-Huthi).
In questo senso la nomina potrebbe persino essere una buona notizia, per il Mossad: la belva ora è obbligata a moltiplicare i contatti, a tessere le fila del suddetto Asse, a ricevere messaggi e mandarne, dunque fatalmente ad esporsi di più. Tramonta l’ultima ipocrisia, guerra (anzi, terrorismo) e politica coincidono, per Hamas, fin dalla fondazione. Come dimostrano plasticamente alcuni spezzoni del Sinwar-pensiero, ripostati dall’ex portavoce del governo israeliano Eylon Levy. «Da noi qui a Gaza non riceveranno mai altro che proiettili, fuoco, martirio, morte e uccisioni». «Abbatteremo il confine e strapperemo loro il cuore dai corpi». Che è quello che hanno fatto il 7 ottobre. Sinwar l’ha organizzato, il vecchio Ufficio Politico l’ha condiviso coi referenti, altri tagliagole maomettani, ayatollah in primis. Di dorotei e dossettiani non ce n’era, per capirci.
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