Wall Street investitori in fuga dal "business dei single"
Gli studenti, e anche gli adulti cui le nozioni sono rimaste attaccate all’ippocampo per accidente, devono ricordarlo, che in natura nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. È la legge di conservazione della massa e sta bene più o meno su tutto, sulle scelte elettorali dei cittadini, sui jeans a vita alta ieri, oggi di nuovo bassa com’era bassa prima ancora, sull’impiattamento del vitello tonnato, sul ritorno dell’arrotino. Il postulato di Lavoisier vale anche per il declino delle applicazioni di incontri come Tinder e Bumble, passate in poco più di dieci anni dall’essere le beniamine di Wall Street a una seccatura per gli investitori.
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Match Group è stata una delle prime aziende comparse nel settore degli appuntamenti online: a partire da Match.com nel 1995, ha poi acquisito Tinder nel 2017 e Hinge nel 2018. Ad oggi, supervisiona un impero di ben 45 app per speranzosi. Il suo valore di mercato è sceso dai 50 miliardi nel 2021 a dieci: le azioni avevano raggiunto i 169 dollari, ieri eravamo a 36.
Diretta e praticamente unica concorrente, anche se a qualche zero di distacco, è Bumble: quotata in borsa nel 2021, è crollata da 14 miliardi a 3, le sue azioni valgono circa un quarto rispetto all’offerta pubblica iniziale e i licenziamenti taglieranno circa un terzo della forza lavoro.
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I due miliardi di single che pencolano per il mondo, però, hanno sempre le stesse intenzioni: «La domanda di connessione e di amore continua a essere forte», ha assicurato l’amministratrice delegata di Bumble, Lidiane Jones. In effetti, se guardiamo ai numeri di Tinder, 50 milioni di utenti in 190 Paesi sono alla costante ricerca di una relazione. O, quantomeno, ciò che Match Group ritiene essere tale e cioè qualsiasi contatto che dura più di tre mesi (definizione bizzarra e ad alto tasso di mortificazione, dato che, per qualcuno, nella medesima categoria rientrano il barista di fiducia e il cane di proprietà). Sull’app, ogni tre secondi inizia una “relazione” grazie allo “swipe”, ovvero, per chi ancora non lo sapesse, quel movimento che consiste nel far scorrere le foto degli altri utenti a destra o a sinistra: a destra se piace, a sinistra per scartare (sulla barbarie di questo meccanismo torniamo più tardi). Quindi, cassata l’ipotesi che nessuno degli utenti abbia rinunciato a un accoppiamento o alla ricerca dell’anima gemella - senza rendersi conto che sta demandando a un algoritmo ciò che fino a ieri facevano le famiglie, con il beneficio di un’ineccepibile accortezza per le finanze - il problema sono, come sempre, i soldi: Match Group e Bumble generano la maggior parte delle loro entrate vendendo abbonamenti, nel 2023 sono stati circa 4,2 miliardi di dollari per entrambe, molto meno guadagnano con la pubblicità.
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Negli Stati Uniti, secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 30% degli adulti e oltre la metà degli under 30 utilizza app di appuntamenti. Circa un terzo degli utenti ha riferito di aver pagato per utilizzarle: le versioni premium bloccano alcune funzioni, per esempio far comparire più spesso il proprio profilo e avere “mi piace” illimitati. I più disposti a pagare sono gli uomini adulti ad alto reddito, chi sborsa meno volentieri è la Generazione Z, più giovane, numericamente inferiore, con meno soldi a disposizione. I Millennial, la generazione più numerosa della nazione e che era nell’età ideale quando Tinder venne lanciato, si sono sposati e hanno abbandonato la piattaforma, spiega il Wall Street Journal. In definitiva, il numero di utenti a pagamento, nel 2023, è diminuito quasi del 10%. E non solo perché pagare per fare ciò che si potrebbe fare gratis scendendo al bar appare una scemenza: agli utilizzatori non piace l’idea che un’azienda tragga profitto dalla loro solitudine, a tal punto che Match Group sta affrontando un’azione legale collettiva.I ricorrenti affermano che le app utilizzano “funzioni psicologicamente manipolative per garantire che rimangano perennemente sull’app come abbonati paganti”. E tanti cari saluti all’anima gemella (a pagamento). La fiducia si è fatta scarsa anche a causa dell’ondata di truffe, dei falsi profili generati dall’intelligenza artificiale e dai casi di molestie: secondo le stime della società di sicurezza informatica Kaspersky, 4 utenti su 10 hanno riscontrato una truffa su un’app di appuntamenti, 2 su 10 ci sono cascati e, stando a un sondaggio della Boston University e di Ipsos, quasi il 50% degli intervistati pensa che le app siano piene di chatbot che si spacciano per persone reali.
Infine, l’aspetto psicologico. La perversione dello swipe intrappola l’utente nell’ossessione dello scorrimento a sinistra: il partner perfetto sarà sempre a un utente di distanza. Le soluzioni delle piattaforme per uscire dal pantano? Gli incontri nel Metaverso, inarrivabile matrioska di distopie, e l’allargamento del mercato. Dove? In quella parte di mondo dove i matrimoni combinati sono la norma e gli algoritmi ancora non hanno rimpiazzato i genitori, inconfutabili maestri nella selezione dei soggetti da maritare (“questo va bene” / “ma perché ti sei accollata quell’arnese?”). La differenza con le app è indistinguibile: la Chief marketing officer di Tinder, Melissa Hobley, si è tolta la maschera in un’intervista al New York Times: “Le persone non sono brave a sapere chi è adatto a loro”, ha detto. L’algoritmo invece lo sa. È sempre la stessa signora che, però, beffardamente, consiglia: “Se sei a una festa, metti giù il telefono. Se sei in un bar con persone interessanti, metti via il telefono”. Pare che l’abbiano ascoltata: in America sono tornati di moda gli appuntamenti in versione speed dating. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
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